QUELLA MITICA GUERRA DEI ‘CAMPAGNOLI’ VENETI
Di Millo Bozzolan, patriota veneto marciano
L’ARTICOLO è stato scritto da Patrizio Revelli, un mese dopo l’evento che sconquassò i media di tutto il mondo: e gli italiani, Lega compresa, a parlare di “armata pane e soppressa” per sminuire il gesto simbolico di valenza storica, unico in Italia. Lo fanno anche qua, in un certo modo… ma è anche una specie di “onore alle armi” da parte di un giornalista che conosceva bene le genti venete. E per questo riconoscimento quasi “militare” da parte di un esponente del giornalismo radical chic, lo ripubblichiamo.
VENEZIA – “Negli animi di questi contadini è entrato un desiderio di morire, e vendicarsi, che sono diventati più ostinati e arrabbiati contro a’ nemici de’ viniziani, che non erano i giudei contro a’ romani; e tutto di occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare il nome viniziano”. E’ il 26 novembre 1509, e Niccolò Machiavelli dal quartier generale dell’ Imperatore a Verona racconta ai suoi signori fiorentini le imprese di quei contadini “marcheschi” contro gli invasori “cesarei”. E uno di quei contadini, catturato, “disse che era marchesco, e marchesco voleva morire, e non voleva vivere altrimenti; in modo che il vescovo lo fece appiccare…”.
Bepìn Segato, l’ Ambasciatore, arrivava la domenica pomeriggio sulla sua scassata Lancia Delta, dopo una dura settimana a batter le campagne come “diffusore culturale”. Apriva il volume Il Mito dei Veneti dalle origini a noi, frutto delle ricerche di una vita, e leggeva ad alta voce per i suoi commilitoni. Che imprese, quelle dei veneti di campagna, coraggiosi villani contro la Lega di Cambrai: anche il Gucciardini e il Machiavelli ne erano stupiti. Gli altri ascoltavano, e davano di martello e fiamma ossidrica a sistemare el Tanko e el Tanketo, là nell’ officina. Dura la vita del patriota serenissimo. Sei giorni a sgobbare come operai, elettricisti, contoterzisti. Domenica mattina la messa in paese, poi il pomeriggio a preparare l’ insurrezione, e anche quello è un lavoro duro, di anni e anni. Ma l’ avevano giurato, no? “Mi impegno a dare tutto me stesso alla causa del Veneto, per la liberazione del territorio dall’ oppressione dell’ occupante straniero, lo Stato italiano, anche a rischio della mia stessa vita”. Nome, cognome, età, professione e indirizzo sulla scheda di adesione al Serenissimo Governo Veneto.
Quaranta schede, per i “simpatizzanti”, buoni per sostenere e raccogliere quattrini. Dieci, i soldati della Veneta Serenissima Armata, gli operativi che trafficavano coi telecomandi, spennellavano el Tanko di verde. Bepìn l’ Ambasciatore, inadatto alla carpenteria, leggeva e rinfrancava gli animi. Un esercito proletario e campagnolo.
Veneziani, neanche uno. Tutti dei “campagna”, che quando mettono piede nella “capitale” basta uno sguardo ironico a inquadrarli. Gente di fuori, zappaterra, gente che non sa remare. Contadini, che sanno di trattori ma non di barche. A parte Bepìn, tutti ignoranti affamati di Storia mitica, di sogni antichi. Di che cosa parlano Andrea Viviani, operaio in una vetreria, e Luca Peroni, operaio anche lui, quando si incontrano al bar La Decima di Colognola ai Colli? Della Serenissima, delle “antiche tradizioni venete”.
Che cosa cerca Gilberto Buson, contoterzista d’ abbigliamento col suo laboratorio Desiré a Cartura, nei volumi della biblioteca comunale? Storie guerresche del Leon di San Marco, dei “marcheschi”. E Moreno Menini, l’ unico studente, il figlio dell’ ex-sindaco di Colognola? Non parla d’ altro. Gigi Faccia, quello che chiamano “vecio”, è il comandante, anzi il V.P.Gen.Prov. Lui, il fratello Fausto e la sorella Alessandra mandano avanti l’ azienda di famiglia, la Unifast di Pontelongo, miscelatori agricoli, fondata dal padre Benito, uno che aveva inventato “una trivella mondiale”.
Recluta uomini, di provata fede serenissima, e soprattutto bravi tecnici. Come Antonio Barison detto “Herti”, assemblatore elettrico alla ditta Fanton di Conselve: “Barison – dice Faccia al magistrato – oltre a essere persona molto competente dal punto di vista tecnico, ha anche un’ ottima preparazione culturale pur essendo autodidatta. Parla perfettamente l’ italiano ed è in grado di scrivere in italiano in maniera corretta”. Così, oltre a fargli comprare i telecomandi per el Tanketo e le trasmittenti, gli affideranno il ruolo di speaker nelle interferenze televisive. Perché va bene la fede, però qui si tratta di saper fare con le mani. C’ è da mettere insieme l’ equipaggiamento, nei pomeriggi di domenica. Servono le mani di Flavio Contin, elettricista, e di suo nipote Cristian.
E serve un progettista, uno come Franco Licini di San Vendemiano, uno che è capace di disegnare macchinari per fare i contenitori di plastica.
Ex-consigliere provinciale della Liga a Belluno. Lui progetta el Tanketo, in codice VTD/AV, Veneto Tank Distruttore, usando il motore di una vecchia Fiat 124 ma già pensando a una versione High Power.
Tanto misterioso nella sua attività, il Licini, che la moglie sospettosa l’ aveva segnalato a un amico carabiniere. Che mani d’ oro, quelli della Serenissima Armata: Gigi e Fausto, Flavio e Cristian, Gilberto e Herti, Andrea e Luca e Moreno. Che lavoratori, e che pazienza. Anni di tentativi. Prima la mongolfiera che doveva volare su Venezia e portare volantini: la provano sul Grappa, e va a fuoco. Ne mandano su un’ altra, questa volta con un’ antenna per lanciare messaggi radio: non se ne accorge nessuno. Pensano addirittura di far prendere a un “soldato” il brevetto da pilota di elicotteri, per buttare volantini “come D’ Annunzio”. Scelgono alla fine di interrompere il Tg1, in attesa di poter usare el Tanko e el Tanketo. E il 25 agosto ’96, nell’ officina di Contin a Casale di Scodosia, mentre Licini riprende tutto con una telecamerina, decidono l’ azione esemplare, il gesto clamoroso a Venezia. Si va sul campanile di San Marco.
Non siamo soli, c’ è un sacco di gente intorno che aspetta il segnale. Perché non ci hanno visto, quando in campagna facevamo le prove col blindato? Non ci sono i sostenitori, il cerchio più ristretto dei quaranta tesserati, e gli altri simpatizzanti? Alfio Scolaro di Borgoricco, l’ amico di Bepìn, e Giuseppe Drago di Conselve, quello della Life, e l’ imbianchino Ardingo Zieri, e Umberto Vecchiato quello del colorificio, e Maurizio Grassi di Verona. E poi, dirà ancora Gigi Faccia al magistrato, “Daniele e Stefano Bevilacqua sono semplici simpatizzanti. Lo stesso ruolo hanno avuto Marco Salvoro, Franco Bussinello, Vinicio Montanari, Antonio Martinello e Nicola Perazzolo…”. Quanta gente, quanti bravi “campagna” veneti.
Anche loro credono nello Statuto, quello che parla di Veneta Nazione, Veneta Istruzione, Veneta Spesa Pubblica, Veneta Moneta Legale, Venete Squadre Nazionali per le Venete Olimpiadi, e poi il Veneto Esercito, la Veneta Aviazione, la Veneta Marina. Oddio, per la Marina si vedrà perché con le barche non ci sappiamo fare noi di campagna. E se anche non sono simpatizzanti, qualcuno che dà una mano si trova. Per esempio, chi guida il camion con sopra el Tanko fino a Venezia? Manco uno, nella Serenissima Armata, che abbia la patente per i camion. Ma sì, c’ è Severino Contin, il fratello gemello di Flavio. E dove lo mettiamo el Tanketo perché non lo scoprano gli italiani? Si va da Domenico Brunato a Terrassa, quello che correva in bici per la Silvellese di Trebaseleghe e ha vinto tre giri del Veneto. Lo mette in mezzo alle pannocchie. Pronti, si va: pane, salame e un brindisi prima di partire. Abbiamo tutto, la carne in scatola, le mutande di ricambio, la grappa, la caffettiera, le ciabatte, la sveglia, bicchieri, tovaglioli, carta igienica, la radio, la tv e il rosario. Perché noi “marcheschi” siamo gente pratica, che pensa a tutto. E poi lo diceva già il Machiavelli: “Negli animi di questi contadini è entrato un desiderio di morire, e vendicarsi…”.
Fabrizio Ravelli