Rifugiati, il filosofo Spaemann: “Non dobbiamo per forza convivere”
“Cristiani e musulmani non sono uguali, i centri di accoglienza non possono essere una Onu in miniatura”, dice l’erede di Gadamer
Roma. Non sta scritto da nessuna parte che la chiesa debba attivarsi per ospitare, nello stesso posto, cristiani e musulmani. Anzi, “farebbe bene a ripensarci”. A dirlo, in un’intervista pubblicata in Germania dal Tagespost, è il filosofo Robert Spaemann, erede di Hans-Georg Gadamer a Heidelberg, quindi docente alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera nonché amico, compagno di studi e ricerche di Joseph Ratzinger. Spaemann cita san Paolo, che nella Lettera ai Galati (Gal 6, 10) scrive: “Operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede”. “In altre parole – osserva il filosofo – se non possiamo aiutare tutti, bisogna seguire un ordine di vicinanza e lontananza”. Partire, insomma, da ciò che accomuna: “Può essere la religione o possono essere le confraternite di studenti, persone con interessi comuni e visioni del mondo comuni. E’ quanto di più naturale ci sia al mondo. Ma perché si continua a rifiutare ciò e non se ne vuole sentire parlare?”, si domanda.D’altronde, “le notizie sui delitti commessi contro i cristiani non vengono riportate volentieri e le statistiche vengono nascoste”. La verità, dice, è che “si vuole utilizzare il problema dei rifugiati per annullare la rilevanza sociale della religione”. In sostanza, si vuole che questa sia “un affare privato e laddove sorgono contrasti, li si minimizza”. Quanto accaduto a Colonia con le violenze di Capodanno ne è l’esempio lampante, salvo poi dover fare i conti con le centinaia di denunce per violenze sessuali e rapine depositate nelle stazioni di polizia. Spaemann ha aderito alla petizione dell’Initiative CitizenGO lanciata dalla comunità assira di Stoccarda che ha chiesto di separare i musulmani dai cristiani, costretti a subire – scrive il Tagespost – “le vessazioni dei profughi islamici”. Questo desiderio, spiega il filosofo ottantottenne, “è più che comprensibile. In alcuni ricoveri i rifugiati cristiani si trovano a essere discriminati, proprio come accadeva nella patria da loro abbandonata. Si tratta spesso di condizioni terribili. In molti centri non possono nemmeno mettere carne di maiale in frigorifero, né mangiarla. Non possono sedersi allo stesso tavolo cui sono seduti i musulmani”.“Non siamo una Onu in miniatura”