SULL’IMMIGRAZIONE E CONVIVENZA IMPARIAMO DA VENEZIA
Puntualizzava anche oggi un utente di twitter di simpatie evidenti verso il mondialismo colorato di arcobaleni… accusando da buon “italianista” i “venetisti” e i “leghisti” di ignoranza. Ma il tuo problema, caro amico è che sei tu a IGNORARE completamente la storia di Venezia che citi A SPROPOSITO, altrimenti te ne staresti zitto. Ecco invece quello che gli studiosi ci raccontano sull’accoglienza dei “foresti”. Che se erano accolti, vivevano in una specie di apartheid.
LA MANIPOLAZIONE DELLA SUA STORIA DA PARTE DEGLI EREDI DI QUELLI CHE LA DISTRUSSERO.
Un certo mondo progressista moderno, la cui visione è debitrice in maniera evidente dal mondo illuminista e massone che concorse alla distruzione dello stato veneto, non pago dei disastri dei suoi precursori, di fronte all’indubbio retaggio di civiltà veneta, ormai universalmente riconosciuto, cerca di manipolarlo in modo da far apparire le loro idee come le vere continuatrici di questa eredità spirituale.
Venezia, nella loro narrazione, è quindi il rifugio di tutti, dove ogni religione, etnia e credo veniva accolta senza distinguo e limiti. Se qualche veneto dell’area indipendentista, si lamenta per il degrado e la minaccia di una immigrazione incontrollata, eccoli sproloquiare sulla Venezia multietnica, se qualcuno si lagna per le moschee e la minaccia islamica , tirano in ballo i secoli di buoni rapporti col turco e il relativo fondaco nella capitale.
Prima di tutto vigeva il principio che ogni territorio dovesse gestire in casa propria il problema della povertà, per cui se un vagabondo senza dimora era sorpreso in capitale, veniva rispedito al territorio d’origine, dove senz’altro vi erano, come a Venezia, opere caritatevoli ed istituti nati per la bisogna. Poi, se un “foresto” sbarcava da una nave, anche se suddito veneto, era tenuto a presentarsi entro poco tempo, ad un apposito ufficio, dove si controllava il motivo della sua presenza, se avesse mezzi di sostentamento, e dove avesse preso dimora e si rilasciava una “bolletta” (un permesso di soggiorno temporaneo).
Per i “cingani” (zingari) la legislazione era anche più severa, fino a vietare, in certi momenti la sosta e l’ingresso dei medesimi nel territorio. Dipinti come soggetti abituati a delinquere, erano considerati una vera e propria calamità da cui guardarsi.
Riguardo alla tolleranza religiosa, fu un fatto concreto, si stampavano libri in ebraico e di altre confessioni, ma nello stesso momento, era impensabile che i governanti veneti concedessero ai mussulmani la possibilità di erigere moschee (anche se erano autorizzate le ‘stanze di preghiera’ era impossibile l’erezione di una moschea), mentre era concesso agli Ebrei, ma solo all’interno dei ghetti, avere la propria sinagoga.
Un cristiano veneto non poteva sposare mussulmani ed ebrei, né conviverci assieme (anche se succedeva, a volte), e si considerava come una ovvietà che il rispetto iniziava dal fatto che ognuno doveva riconoscere la diversità dell’altro. E questo vale anche oggi, in cui una forte immigrazione mette a rischio la convivenza civile in Europa, volendo queste persone imporre agli ospitanti la propria visione del mondo: è un punto su cui bisogna insistere.