UN COLONNELLO SCHIAVONE PERSE LA TESTA…PER SAN MARCO, A SPALATO
di Millo B.
La storia terribile e sanguinosa accadde in Dalmazia, mentre gli spalatini avevano avuto notizia della fine del governo aristocratico in Venezia, e temevano di subire la stessa sorte con la morte nel cuore. In altre località ci si era inventati un governo “democratico” in genere guidato dai vecchi reggenti ora divenuti “cittadini” , pur di continuare ad essere veneti sempre e comunque. A Spalato gli umori erano diversi, poiché un prete aveva distribuito dei manifesti che invitavano alla resistenza.
Ecco come narra il fatto Luigi Tomaz, nel suo “Dalla partedel Leone”:
– Il popolo si era fatto l’idea che il colonnello degli Schiavoni, Matutinovich, fosse l’emissario della congiura giacobina e già la sera del 13 giugno i borghigiani scesero armati in città per farlo fuori prima che piantasse in piazza l’albero della libertà…
Alla mattina del 14, di buonora, fu vista una barca allontanarsi dal porto e si cominciò a gridare e a suonar campane indicando il colonnello che fuggiva per tornare coi francesi. Tante barche si misero all’inseguimento sparando una salva di moschetteria che trapassò il povero Nicolò De Dominis che tranquillo dentro alla sua barca se ne tornava all’isola di Brazza.
I focosi inseguitori riapprodarono alla riva delusi e trovarono il colonnello che, apparso al balcone generalizio, si era messo a gridare: “Ecco quello che cercate, è qui, non è fuggito!”. La guasconata gli costò cara.
Tentarono di abbattere la porta che resistette ad ogni assalto. Allora si formò un grande corteo che si mise a sfilare per le vie col grande Gonfalone di San Marco che tutto il popolo salutava gridando.
Il Pitturi e l’Erber sono lapidari: ” Quasi a vendetta si impossessarono allora della bandiera veneta e, portandola in trionfo, l’issarono sullo stendardo in piazza tra continue grida di Evviva San Marco!”.
Il giorno dopo fu deciso l’attacco al colonnello, asserragliato con pochi intimi. Al primo assalto cadde un popolano del comando, dopo che il Conte Veneziano aveva tentato in tutti i modi di calmare gli animi inutilmente. Sentito del morto, tutti i borghi iniziarono a suonare campana a martello e una Spalato intera scese per le strade. Fu portato addirittura un cannone per sfondare il portone ferrato.
Allora il popolo sfogò tutta la sua rabbia: “Animati dal numero, gli assalitori aprirono il combattimento con fuoco intenso di moschetti, a cui rispondeva il Matutinovic, aiutato da sua moglie Vincenza Vusio e da due famigli. Già due ore continuava questa lotta ineguale, quando un colpo di cannone fracassò la porta d’ingresso. I più arditi si precipitarono nel palazzo e, fattosi loro incontro l’intrepido colonnello, tentò di scacciarli; ma nel momento in cui voleva vibrare la spada sul più vicino, questa colpì l’erta di una porta, ed il Matutinovic, trafitto da molti coltelli e daghe, stramazzò a erra. Oltre a un servo restò pure uccisa la moglie…Dato il sacco del palazzo quei furibondi, macchiati di sangue, si sparsero per la città, portando intrionfo su di una picca il capo del povero Matutinovich, che deposero sotto lo stendardo in piazza dei Signori.
Con quella testa deposta come un mazzo di fiori ai piedi del gonfalone finiva a Spalato ogni presunta velleità “democratica” e trionfava il popolo che non voleva né libertà, né egalità, ma solo rimanere come era vissuto per secoli…- .
Qui finisce più o meno la storia, e se ne ricava se non altro una morale, che niente è peggio di una folla impazzita e disperata. Ma rende l’idea di come la fine del legittimo governo fosse vissuta da tutti quasi fosse una specie di Giorno del Giudizio finale.