VENETORUM FIDES INVIOLABILIS, IL MARTIRIO DI BRAGADIN
di Millo Bozzolan, Veneto
NARRATO DA UN SUO DISCENDENTE, anche egli di nome Marc’Antonio.
Negli anni ’70 (presumo) comparve su Storia Illustrata un articolo di un discendente di Marc’Antonio, tuttora vivente, mi dicono, che ricostruisce i fatti di Famagosta e il supplizio del più grande eroe veneto. Egli fu d’esempio nella vita, ma anche nella morte, affrontata con una fermezza, una stoicismo,degna di un personaggio classico. Riporto qui l’ultimo pezzo; credo che ogni riga, data la serietà di chi scriveva allora, sia fonte di archivio e riporti fedelmente le testimonianze dei sopravvissuti, presi schiavi dal turco e poi riscattati.
Prima del Bragadin (a lui e ai superstiti era stata promessa la libertà e l’onore delle armi in cambio della resa), il settantenne Tiepolo fu impiccato, e per ben tre volte, dato che la corda si pezzo nelle prime due, subì la stessa sorte il Martinengo. A Marc’Antonio, come anticipo dei supplizi, furono mozzate le orecchie, come i turchi usavano coi malfattori.
LA FINE
A Marc’Antonio Bragadin, infine, Mustafà , riservò un martirio così orrendo, che persino a Costantinopoli poi lo riprovarono. Gli storici moderni, che ne hanno ricercato il movente non tanto nei fermi rifiuti di Bragadin alle reiterate sollecitazioni di passare al servizio dell’impero turco, quanto nell’ira suscitata in Mustafà dalla mancata espugnazione di Famagosta. Un’ira che infatti si sviluppò in odio feroce, quando il generale ebbe accertato l’esiguità numerica dei veneziani superstiti e delle loro munizioni, specie a confronto delle enormi perdite subite: complessivamente 80.000 uomini, l’élite dell’esercito imperiale.
Il mattino del 17 agosto, dopo tredici giorni e notti di continue e atroci torture, Marc’antonio Bragadin fu trascinato in mezzo alle truppe turche, per le vie di Famagosta, sui forti, sui terrapieni, sui baluardi. Stremato, ferito e piagato, con le cavità delle orecchie purulente, fu costretto a portare pesanti carichi, tra percosse e offese di ogni genere. Lo stoicismo con cui sopportava ogni sevizia, accresceva al ferocia degli aguzzini: tuttavia, davanti alle truppe schierate nella piazza, Egli trovò ancora la forza d’insultare aspramente ilgenerale turco e di rimproverargli la barbarie e il tradimento dei patti. Ammonito per l’ultima volta che, se non si fosse piegato, gli avrebbero dato una morte spaventosa, rispose semplicemente “fatemi morire subito!”. Allora lo legarono contro una colonna da cui era stato abbattuto il Leone veneziano (oggi per somma beffa, porta il busto di un eroe turco, nota mia), e lentamente staccarono dal suo corpo vivo la pelle, spogliandola in un sol pezzo, a cominciare dalla nuca e la schiena, e poi il volto, le braccia, le gambe e tutto il resto.
La vittima sopportò il sacrificio con sovrumano coraggio. Non emise un solo gemito. Disse: “Non sanno quello che fanno”. Disse ancora: “La mia povera moglie, i miei figlioli, quando lo saprete”. E ancora: “Son contento di morire dovo sono morti tanti bravi soldati”. Spirò alla fine della lunga tortura, ancora in piedi, addossato alla colonna.
Il martirio, che per i vincitori doveva essere una barbara festa, si compì nell’attonito silenzio di migliaia di uomini, soggiogati dalla suprema dignità di quella morte. Dieci anni dopo, la pelle di Bragadin – che era stata conciata e portata come un trofeo a Costantinopoli, – fu sottratta da un soldato di Famagosta, già schiavo dei turchi e trovò riposo nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Lì, chi scrive, ne vide i resti, durante una ricognizione effettuata nel 1961. così come a Famagosta ci fu poi confermata la testimonianza vivadi un epilogo che sembrava leggenda.
Secondo una tradizione, infatti, il corpo del Bragadin era stato riscattato da un amico e nascostamente sepolto nelle vicinanze della città. E lì, sulla strada a nord di Famagosta, dopo quattro secoli abbiamo trovato quel sepolcro, sotto una piccola cappella che, durante l’occupazione turca, qualcuno costruì per per tramandarne la memoria segreta.
Il sacrificio di Famgosta non fu vano: i difensori logorarono le forze turche dando tempo alla Lega di accordarsi e muovere per Lepanto, battaglia che segnò l’inizio del declino turco. Quel giorno, i marinai e i soldati delle galee venete si mossero al motto di “RICORDIAMOCI DI FAMAGOSTA”.