VENEZIA, LE BONIFICHE, IL VENETO D’OGGI
Di Ivone Cacciavillani
Per tutto il ‘500 si assiste a una specie di corsa alla bonifica, dopo secoli di incuria dovuti a guerre continue, in cui le grandi famiglie veneziane, imitando l’operato dei benedettini del XII secolo, profusero capitali enormi per risanare vastissime aree, ricondotte a cultura con opere immani che richiesero decenni di lavoro. Il governo stesso della Dominante, non tarda ad intravvedere in tali imprese una cospicua fonte di ricchezza per lo Stato e un apporto utile per l’equilibrio dei rifornimenti alimentari dello stato.
L’ iniziativa degli interventi poteva essere sia dei proprietari delle terre interessate al singolo ‘retratto’ (consorzio) sia d’ordine dei Provveditori. Una terza forma era l’ intervento di un operatore finanziario, che assumeva, in un rapporto pubblicistico molto affine all’attuale contratto di concessione di opere pubbliche, la realizzazione del “retratto”.. contro il diritto alla riscossione, per dieci anni, della tassa di “campatico” (tassa sulle proprietà agricole) che gravava su tutte le terre interessate alla bonifica, destinato a rimborsare le spese occorse nell’impresa.
Alle spese di manutenzione, si faceva fronte col “campadeghetto” che rappresentava l’entrata ordinaria corrente destinata a coprirle.
Per la costruzione delle opere era a volte necessario ricorrere alla espropriazione regolata da una “parte”(legge) che con grande efficacia e in modo chiaro recitava:
<i conduttori, o Consorzi debbono piantar le mire per tutto dove debbono passare con canali, scoli o ponti, farli conoscere ai provveditori nostri sopra li beni incolti li quali Provveditori debbono mandare a spese dei consorzi o conduttori due periti di lor scelta.. li quali vedendo che il retratto potesse portar quattro volte più utilità del danno (il costo dell’esproprio) che potesse fare ad altri, potranno tutti e tre d’accordo uniti.. concedergli licenza>.
Una parte cospicua di terreni coltivati apparteneva ad enti ecclesiastici, specie monasteri e conventi. “Su 600.000 campi utili nel Padovano, ben 200.000 appartenevano al clero (veneziano e padovano) e tra questi circa la decima parte al potente monasero di Santa Giustina.
Proprio questi enti peraltro, erano stati gli artefici e i protagonisti primi delle bonifiche, attraverso cui vastissime estensioni del terreno incolto del basso padovano, del Polesine, del Friuli, erano state riscattate dall’acquitrino. Una aliquota quasi sempre inferiore al 50% di terreni di proprietà locale e “laica” appartenevano alla nobiltà di provincia, costantemente tenuta in disparte dalla nobiltà veneziana, o alla ricca borghesia, rarissima era la micro proprietà”.
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