IL DOGE MANIN E IL SUO SUPPOSTO TRADIMENTO, SOLO FALSITA’
di Milo Boz Veneto
Niente di più falso, naturalmente: ecco ad esempio quanto riporta Giovanni Scarabello nella prefazione alle memorie del Doge stesso.
“I membri della Municipalità democratica provvisoria si riunirono per la prima volta in Palazzo Ducale nella sala dell’ex Maggior Consiglio il 16 maggio 1797 sotto la presidenza di Nicolò Corner.
Erano sessanta. Tra di loro, parecchi erano gli ex patrizi (quasi tutti ricchi) molti i grossi commercianti, gli imprenditori, gli uomini d’affari; molti professionisti, in prevalenza avvocati, non pochi gli ex burocrati della repubblica; qualche ecclesiastico, qualche militare; qualche raro uomo del popolo come Vincenzo Badalà, il gastaldo dei pescatori di San Nicolò. Di fatto, la stragrande maggioranza era costituita da uomini che socialmente ed economicamente avevano avuto posizioni di rilievo nel passato regime. Nella composizione, l’assemblea mostrava di essere frutto di quel compromesso fra discontinuità e continuità che aveva presieduto confusamente il trapasso dalla Repubblica aristocratica alla democratica”.
I “democratici” avevano invero molto insistito per coinvolgere il doge nel nuovo governo, non ci sarebbe stata del resto legittimazione migliore agli occhi del popolo che sapevano a favore dell’aristocrazia per la stragrande maggioranza, e nei giorni precedenti al 12 insistettero molto con lui, perché accettasse al presidenza della Municipalità. A pagina 36 delle Memorie edite da Canal, Egli scrive infatti:
“ci volle gran tempo e fatica per combinare il tutto con il Ministro in una carta capitolata; in questa si stabilì il tempo dell’ingresso delle truppe francesi, il modo di alloggiarle, li proclami da pubblicarsi; la Municipalità da installarsi ed altre diverse cose….quando alle cinque comparve essa carta e con questa piccola nota che dispensa il doge dalla presidenza, per la quale si aveva insistito tutti questi giorni ed alla quale esso (cioè lui, il Manin) aveva sempre resistito con fermezza”.Tutto fa parte, secondo me, della campagna di discredito e dileggio, che travolse la figura dell’ultimo Doge, diventato una specie di parafulmini dei mali della Repubblica.