ANCHE MONTANELLI NON CAPIVA I VENETI E VENEZIA
Ho letto per intero l’interessante risposta del grande Indro Montanelli a Ettore Beggiato, pubblicata nell’ormai lontano 1996. Siamo con lui, noi Veneti, quando spiega “la diversità” veneziana rispetto al resto dell’Italia: “una civiltà non italiana, quale la Serenissima mai fu né mai si sentì”, ma il bravo Indro scivolava poi fuori dal seminato, scrivendo: “Sotto la sua sovranità una Mestre non sarebbe mai nata (sic, quando invece Mestre esisteva anche a quei tempi ed era però inclusa nel territorio trevigiano) Quanto alle preesistenti città che vi erano incluse, compresa la sua Vicenza, non credo che del Domino veneziano conservino buon ricordo, perché invece di favorirne lo sviluppo, lo compromesse”
Che dire di una affermazione così perentoria quanto campata in aria? Venezia puntava sul commercio marittimo, è vero, ma la Terraferma dal Cinquecento in poi, produsse una ricchezza enorme, sia in campo agricolo, che manifatturiero proprio grazie agli illuminati interventi dell’aristocrazia veneziana che dal Sei-Settecento in poi scelse di risiedere almeno nei mesi stivi nelle campagne ubertose, su cui aveva investito capitali enormi, anche per le bonifiche di terreni incolti. Lo stato veneto aveva per questi investimenti provvidi raggiunto quasi l’auto sufficienza alimentare. (Cito Frederic C. Lane)
Ma Venezia aveva in pratica diviso la Terraferma in veri e propri distretti produttivi, incentivandoli con provvedimenti adeguati, e con le sue navi portava in tutto il Mediterraneo i prodotti finiti nel campo tessile di tutto il padovano; mentre magari a Treviso e a Rovigo si specializzavano nella cultura dei bachi da seta (materia prima del tessile) succedeva che nel bellunese da secoli producessero armi da taglio o chiodi che grazie ai mercantili veneziani arrivavano in Inghilterra piuttosto che in Spagna.
Faccio un piccolo esempio: verso il fine del Seicento, Belluno, in netta concorrenza con gli spadai germanici, esportò decine di migliaia di “schiavone” (le celebri spede a guardia chiusa) nel Regno di Scozia. E quindi tutta l’economia dell’entroterra, caro Indro Montanelli (spero Tu mi legga da lassù) era assolutamente complementare a quella mercantile marinara veneziana. Non mi invento niente, eh tosi… Tutto scritto in un paio di saggi dedicati alla spada schiavona del più gran esperto del settore, Gianrodolfo Rotasso di Belluno!
Aggiungo: la miseria nera che costrinse un Veneto su due all’esilio, incominciò proprio con chi li aveva “liberati” della “tirannica” Venezia. E proseguì, raggiungendo il culmine, con l’annessione all’Italia unita nel 1866: la pellagra, prima endemica, divenne la malattia principale nelle povere campagne venete.
Che dire, dall’insieme della risposta noto purtroppo nel grande giornalista una certa acrimonia verso i Veneti, i quali, forse unici in Italia continuano a considerarsi una Nazione, composita come era ai tempi di san Marco, ma Nazione, mentre non è così per gran parte degli italiani del resto della penisola, se si eccettuano i Sardi e i Siciliani. E’difficile da digerire, ma come sventola un gonfalone è un Leone che sembra dire: “Eppur son vivo!”
ps. Ho riletto l’intervento di Montanelli nel nuovo lavoro di Ettore Beggiato, “Galeas per montes” di cui vi parlerò in settimana e che vi consiglio caldamente.
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