Dal mais alla Polenta
di Theusk
“El sorgo el gà sùito techio in Europa, spesialmente nele Venessie sostituendo i altri sereai usà fin lora par fare poente. In prinsipio se doparava sta farina par le pietanse e i dolsi ma pian pianelo la xe entrada de prepotenza nel caliero buttando fora el sarassin, l’orzo, el mejo, la spelta e la meliga per deventar poenta e basta”
Da noi si usano due tipi di granoturco, uno giallo e uno bianco che non differiscono minimamente dal punto di vista nutritivo.
Ma come dev’essere una buona polenta? L’iconografia propone sempre, o quasi sempre, delle polente alte, ben sode, che una volta rovesciate in un sol colpo sul tagliere mantengono la forma convessa del paiolo, senza allargarsi. Però tanto più si scende verso la pianura, sino ad arrivare alle città, quanto più la polenta diviene tenera, fino a tenerissima nei piatti della laguna.
Chi la vuol gialla, chi la vuol bianca, ma a mio parere trovo migliore quella soavemente bionda. La farina dev’essere sempre asciutta e senza grumi, il paiolo dev’essere in rame (caliero o caldiera), lucidissimo all’interno e sempre piuttosto scuro e fuliginoso all’esterno; deve ricevere acqua per non più della metà della sua capienza. Vi si comincerà a versare la farina quando l’acqua sarà in fervore, un attimo prima che l’acqua raggiunga il pieno bollore, prendendola da un recipiente con la mano destra e lasciandola cadere a pioggia nell’acqua mentre con la sinistra si manovra la “mescola” in un movimento rotatorio e di tanto in tanto trasversale.
Le dosi sono di 250 gr di farina per ogni litro d’acqua e il tempo di cottura di 40 minuti.