DANIELE MANIN E LA SUA VISIONE DELLA SERENISSIMA
Di Edoardo Rubini
Daniele Manin, nel 1847 scriveva nella sua opera “Giurisprudenza Veneta” :
” Era nella veneta legislazione e si mantenne finchè durò la repubblica, un difetto allora comune in Europa:la non uniformità di leggi in tutta l’estensione dello Stato.
Lasciavansi reggere le province di terraferma e di oltremare da particolari loro statuti o leggi municipali; lo statuto veneto valeva come diritto sussidiario “.
Manin è di cultura liberale, anzi ha un retroterra illuminista frequente nelle classi elevate dell’800, essendo di famiglia di origine ebraica (il nonno si era fatto cristiano, così era anche lui, ma la cultura familiare resta sempre ancorata in certa misura a una determinata impostazione culturale); inoltre appartiene alla categoria professionale
da sempre più incline all’Illuminismo: gli avvocati.
tutti gli storici di rilievo hanno sempre additato nella frammentazione giuridica uno dei principali elementi di debolezza della Veneta Serenissima Repubblica, che l’ha resa inidonea ad affrontare la competizione con le maggiori
potenze europee. Qua il discorso si farebbe lunghissimo, ma sta di fatto che l’Impero Asburgico (visto dal mondo tradizionalista come il baluardo della Tradizione Cattolica) già al tempo di Maria Teresa aveva dato il via a quelle
“riforme illuminate” che ne avevano irrobustito tantissimo la struttura, ma al tempo stesso ne avevano snaturato quell’animo pluralista, sfaccettato e conservatore che per secoli aveva distinto il Sacro Romano Impero.
Così avevano fatto tutte le potenze europee (leva obbligatoria, grande esercito, catasto, scuola di stato, tassazione più forte, più o meno siamo là), ma non la nostra Repubblica,
che se ne stava attaccata fiera alla sua concezione medievale e spirituale della società e della politica.Quando Venezia si mise a fare riforme dilagava ormai il pensiero illuminista e rivoluzionario, così ogni cambiamento destava enormi sospetti e diffidenze: alla fine mancò il tempo e la serenità per focalizzare le riforme necessarie e cominciò a paralizzarsi.
Il Patriziato sapeva che bisognava uniformare il diritto, sapeva che doveva tirare dentro al Maggior Consiglio i nobili di Terraferma, come tante altre cose: non lo fece perché i tempi non erano maturi e ci voleva un programma di ampio respiro in un clima culturale non inquinato dalla rivoluzione.
Manin era un federalista: non aveva mai inteso annullare l’identità e le istituzioni venete. Chi avrà la costanza di leggere il suo magnifico trattato ne avrà la prova più lampante. Io non conosco oggi nessun professore universitario in grado di scrivere un saggio di pari livello, né conosco venetisti capaci di intendere la Veneta Serenissima Repubblica come fece lui.
Mi pare che la frase sia stata abbondantemente travisata: in quale stato sarebbe oggi pensabile che ogni circoscrizione si facessero norme per conto proprio in modo slegato dal potere centrale? Neppure negli U.s.a. o in Svizzera succede questo.
Se si vuol aderire alla verità storica, Manin restò sempre dell’idea che i Veneti avessero la loro brava sfera di autonomia e di autogoverno, pur mantenendo “l’uniformità delle leggi” in generale.