FRANCESCO DA CARRARA INVISO A PADOVANI E TREVIGIANI
LE DEDIZIONI delle città della Terraferma segnarono la fine di signorie tiranniche, a volte esose nelle richieste di tributi, rnecessari per poter continuare guerre di espansione. Un esempio fu Francesco da Carrara, che divenne Signore anche di Treviso, ma che fu travolto da una rivolta di popolani, certamente sobillati dai veneziani, ma che invocavano “Marco! Marco!” tra il giubilo dei cittadini. L’arrivo del Leone segnò anche il ripristino delle antiche libertà delle assemblee popolari. Come da tradizione dei Veneti da tempi immemorabili. Ce lo rammenta Alvise Zorzi:
” ..Venezia, vittoriosa ma esausta per lo sforzo, è costretta ad accordarsi col duca d’Austria e cedergli Treviso “con riserva di tutti i suoi diritti” purché fermi il Carrarese che ha occupato Asolo, Castelfranco e Noale. E’ una scelta dolorosa: Treviso era stata pienamente solidale con Venezia, la palla che aveva ucciso Pietro Doria a capo della flotta genovese, ers partita proprio da una galea armat a dal comune di Treviso. Ma Francesco da Carrara vuole Treviso ad ogni costo , e finirà per averla, insieme a Belluno e Feltre, pagando all’Asburgo, sempre squattrinato, una enorme somma di denaro.
Sono soldi spremuti al popolo padovano, soldi che trasudano sangue. Il Carrarese fa costruire fortilizi in tutto il territorio, rinforza le strutture militari create dagli Scaligeri e dai Veneziani, si dice che pensi addirittura di distruggere Treviso piuttosto che vederla tornare in mano a Venezia. Intanto la spreme al massimo, si serve di una masnada di esattori più o meno loschi e di banchieri truffaldini, fa addirittura organizzare un furto nella sagrestia del Duomo per impossessarsi degli argenti e ori e di contratti e obbligazioni della Curia vescovile che devolve a proprio utile. “Una esosa tirannide” la sua, è stato scritto, servita da informatori e spie infiltrati ovunque.
Poi un giorno, e precisamente il 29 novembre 1388, uno sconosciuto attraversa correndo la città, gridando a pieni polmoni: “viva il popolo trevisano, a morte questo ladro carrarese!”. E’ il segnale convenuto tra gli esponenti della cittadinanza e il senato veneziano, che ha introdotto in città uomini di Mazzorbo e Torcello ai quali si sono aggiunti molti paesani del territorio.
Tutti gridano: “Viva il nostro san Marco!”, la popolazione riprende il grido, la folla irrompe nelle case dei magistrati, e degli emissari del Carrarese abbattendo tutto e saccheggiando. Francesco, chiuso nel castello, non osa mettere il naso fuori; il comune di Treviso, risorto, delibera la sua decadenza e la propria dedizione a Venezia…. Ora la catastrofe è alle porte. ”
Dopo alterne vicende che lo videro di nuovo insedisto a Padova a fungere da stato cuscinetto per i veneziani, egli fu deposto dagli stessi padovani, di nuovo in guerra con Venezia, che lo soppressero in prigione assieme ai suoi due figli. Morti tutti, ufficialmente, per malattia.
“Ormai, per le signorie cittadine era suonata la campana a morto. Venezia si era affacciata, senza entusiasmo, alla terraferma. Ci sarebbe rimasta “Donna e regina”, per quattrocento anni.”