GLI UOMINI DELLA CA’ D’ORO: GIORGIO FRANCHETTI
Giorgio Franchetti: la Ca’ d’Oro rinasce
Fu solo nel 1894 che il destino della Ca’ d’Oro cominciò a cambiare. In quell’anno, infatti, essa fu acquistata dal barone torinese Giorgio Franchetti, uomo sensibile e illuminato, ricco di cultura e di svariati interessi, innamorato dell’arte e dotato di un gusto finissimo. E fortunatamente anche ben provvisto di denaro, se potè sborsare dapprima la somma richiesta per acquisire l’intero edificio, poi quella necessaria almeno per avviare i lavori di restauro che si rivelarono davvero imponenti, date le condizioni in cui era ridotto il palazzo.
Insomma, un vero mecenate, uno dei più disinteressati, generosi e lungimiranti che l’Italia abbia avuto, specialmente in tempi moderni. Giorgio Franchetti fu , infatti, uno dei pochissimi collezionisti ed intenditori che abbia saputo e voluto arginare le manovre speculative che per tutto l’Ottocento avevano saccheggiato la città con la complicità forzata di tanti aristocratici decaduti; per la Ca’ d’Oro, poi, egli fu la salvezza dall’incombente rovinoso pericolo, dopo secoli di incuria e manomissioni, di finire in mano ad acquirenti interessati unicamente a sfruttarne la risonanza storica per motivi commerciali.
Sin dall’inizio il suo scopo non fu quello di farne la propria abitazione, ma di ospitarvi, per poi renderla visitabile al pubblico, la meravigliosa collezione di tesori d’arte che per anni gli era andato scovando in mezza Europa, a partire da quando viveva a Firenze, dove aveva seguito gli insegnamenti dell’autorevole Giuseppe Bonamici per perfezionarsi negli studi pianistici iniziati a Monaco di Baviera.
Si era trattato di acquisti eterogenei (innanzitutto quadri, stampe e sculture, ma anche tappeti, arazzi, oggetti e suppellettili varie) e forse disordinati, spesso frutto di occasioni colte al volo, talvolta strappate per poche lire a piccoli antiquari o sprovveduti rigattieri, seguendo scelte dettate più dall’istintiva attrazione per un certo pezzo che dalla consapevolezza del suo valore o dal nome dell’artista. Ma questo atteggiamento, che alcuni critici ascrivono ad una matrice emozionale dell’acquisizione, quasi sottintendendo un limite nel metodo operativo, a mio parere rivela, invece, e in modo inequivocabile, oltre la passione, la sicurezza del gusto e la finezza della sensibilità artistica. Ovviamente, per poter realizzare questo generoso programma, s’imponeva preliminarmente un grandioso restauro dell’edificio, restauro che nelle intenzioni del barone doveva essere impostato in modo rigorosamente filologico, nel tentativo di riportare la Ca’ d’Oro il più vicino possibile all’originaria fisionomia quattrocentesca. Ed egli vi si impegnò con tutto se stesso.
C’è qualcosa che accomuna Giorgio Franchetti a Marino Contarini: un sogno, e la ferrea volontà di realizzarlo. A qualsiasi costo.
Infatti, quando, allo scoppio della Grande Guerra il barone, nel frattempo trasferitosi a Londra, comprese che il completamento della sua immane impresa rischiava di arenarsi per insufficienza di fondi, gli fu altrettanto chiaro che, non era comunque possibile rinunciare. Se le risorse di un uomo solo non potevano bastare, la soluzione stava altrove.
Nel maggio 1916 firmò allora l’atto di donazione della Ca’ d’Oro allo Stato italiano: più precisamente si impegnò a cedere il palazzo al termine dei lavori in cambio della loro copertura finanziaria. Sei anni dopo, quando, gravemente ammalato, pose fine alla propria vita con un colpo di pistola, la moglie e i figli non soltanto confermarono la donazione, ma vi aggiunsero tutto quanto egli aveva destinato al “suo” vagheggiato museo. Era il 18 gennaio del 1927 quando la Galleria intitolata alla memoria di Giorgio Franchetti venne inaugurata in una Ca’ d’Oro finalmente tornata a splendere. Nell’atrio, sotto un rocchio di colonna in marmo rosso, sono conservate le sue ceneri.