LA CA’ D’ORO DOPO MARINO CONTARINI
Incomprensione e incuria
Marino Contarini morì nella sua Venezia nel 1441, presumibilmente pochi giorni dopo aver dettato le sue ultime disposizioni nel testamento rogato il 27 marzo 1441 presso il notaio Valle. Che, ovviamente, interessavano anche la Ca’d’Oro, fiore all’occhiello del suo patrimonio.
Dopo la morte di Soradamor, avvenuta tra il 1443 e il 1417 egli nel 1437 aveva sposato Lucia Corner, figlia di Giorgio e vedova di Giovanni Foscarini, cui si era unita in prime nozze nel 1429. Da questo matrimonio era nato Pietro, anzi, Piero, alla veneziana, l’ultimo figlio di Marino, e il solo avuto da Lucia. Sappiamo la data esatta della nascita, i118 maggio 1440, ancora una volta da un’annotazione autografa dello scrupolosissimo padre, che si può leggere in un libretto di conti, ora all’ Archivio di Stato di Venezia (Procuratori di S. Marco, Citra, b. 269 bis, IV).
Probabilmente, all’epoca, i figli nati dalla prima moglie erano già deceduti, se attraverso il solo Pietro passerà l’intero asse ereditario del Contarini. Certo, ci sarà un lungo ed estenuante contenzioso giudiziario con gli esecutori testamentari, ma è un dato di fatto che nel testamento Marino si sofferma diffusamente solo sull’ultimogenito, nominandolo erede universale e tacendo totalmente riguardo i figli di Soradamor.
Dopo di ciò, La storia della Ca’ d’Oro, lungo un arco di circa quattrocentocinquant’anni, è un succedersi di eventi che testimoniano ora grande amore e mecenatismo, ora insensibilità artistica, ora addirittura disamore e indifferenza. Per non parlare di alcune tristi episodi che si possono senz’altro definire di autentico vandalismo. Alla morte del figlio di Marino Contarini, Piero, il palazzo fu diviso tra le figlie di quest’ultimo, sposate a membri delle famiglie Marcello e Loredan. Si innescò così, per i secoli successivi, una lunga serie vicende ereditarie e passaggi di proprietà che ne tarsformarono la fisionomia, specialmente all’interno, proprio a causa delle differenti necessità abitative dei possessori. Di mano in mano, nel 1791 la proprietà già risultava frazionata tra i fratelli Molin, Girolamo Zulian, Carlo Antonio Donà delle Rose, Giovanni e Pietro Venier e Antonio Zen. Soprattutto dopo la caduta della Repubblica, le condizioni economiche di molti patrizi divenute più precarie e le conseguenti difficoltà di gestione accelerarono il processo di degrado della costruzione, che agli inizi del XIX secolo era ormai decrepita e addirittura pericolante. Fu così infatti che, nel 1802 , un ignoto uomo d’affari, tale Giacomo Pezzi, potè acquistarne una parte come “bene rovinoso”, riuscendo ad entrarne in possesso completamente nel 1808.
Giovanni Battista Meduna: lo scempio
Ma presto si ebbe un nuovo passaggio di mano, nella persona di Moisè Conegliano, che a sua volta nel 1846 vendette al principe russo Alessandro Trubetzkoy. Questi acquistò il palazzo con l’intenzione di farne dono alla più famosa ballerina dell’epoca, quella Maria Taglioni, massima esponente della cosiddetta danza romantica, che a Venezia aveva trionfato al Teatro Gallo a San Beneto nella La figlia del Danubio e La caccia di Diana.
Si dice che con questo gesto di eccezionale generosità egli volesse soprattutto ringraziarla per averlo salvato dal confino in Siber, cui era stato condannato, in quanto liberale, dallo zar Nicola I. Perchè neanche un despota rigido e severo come il sovrano russo aveva potuto resisterle. Erano pochi infatti gli uomini insensibili al fascino di Maria Taglioni: e lei, sensuale, affascinante, famosa, non a caso mieteva le proprie vittime di preferenza proprio tra gli esemplari maschili del bel mondo titolato e ricco, coem il conte Radetzky, comandante supremo dell’armata austriaca in Italia, che non esitava a rendere visita in occasione dei suoi soggiorni a Venezia. Anche il principe Trubetzkoy, come tutti, era irrimediabilmente invaghito della bella Taglioni. E siccome il denaro non gli mancava…
Maria, a sua volta, era innamorata della città lagunare, anzi più precisamente amava i suoi palazzi storici, di cui sembrava voler fare collezione: grazie alle generose donazioni di diversi ricchi ammiratori e spasimanti, arrivò infatti a possedere nientemeno che Palazzo Barzizza a San Polo, Palazzo Giustinian Businello a Sant’Aponal, Palazzo Giustinian Lolin a San Samuele, Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo. E infine addirittura la celebre Ca’ d’Oro. Il tesoro più grande, il massimo che potesse sognare.
Ma per la dimora che era stata di Marino Contarini, purtroppo, questo amore non fu foriero di lieti eventi. La Taglioni, nell’intento di ripristinare l’edificio ormai praticamente fatiscente (col concorso economico del principe russo, ovvio) non seppe far altro che rivolgersi ad un architetto alla moda che già si era distinto nella ricostruzione della Fenice devastata da un incendio: Giovanni Battista Meduna (Venezia, 1800–1880). E qui, il disastro. Meduna abbatte, distrugge, demolisce…È uno scempio, un vero scandalo, cui dà testimonianza anche John Ruskin suo libro “Le pietre di Venezia”.
Alla ballerina, forse, si devono imputare soltanto ignoranza e superficialità. Ma al professionista, che non esitò intervenire con pesantissime modifiche sia all’esterno sia all’interno, rivelandosi per il palazzo una forza distruttiva assolutamente priva di sensibilità e competenza storica e artistica, possono ben andare il nostro biasimo e la nostra disistima. Anche considerando che egli agì in un periodo in cui non era ancora maturato il senso del rispetto filologico dell’antico, e “restauro” era inteso come sinonimo non tanto di conservazione, quanto di modernizzazione e rifacimento integrale. In effetti, Meduna, molto attivo nel Veneto in quegli anni, come progettista originale può anche apparire decoroso, diversamente da quanto si sia rivelato come restauratore, nonostante in quest’ultimo settore sia stato chiamato a sostenere incarichi anche di grandissimo prestigio. Sempre che, naturalmente, si sia accettato il non entusiasmante gusto architettonico dell’epoca.
E dopo di lui, per la Ca’ d’Oro le traversie non erano ancora finite. Nei primi anni Novanta dell’Ottocento, il marchese Tavoli divenne il nuovo proprietari del palazzo e ne affittò gli appartamenti a due personaggi molto in vista: Pompeo Molmenti, autore di una monumentale Storia di Venezia nella vita privata, e la contessa Annina Morosini, una delle più ammirate dame dell’ambiente ”bene” veneziano, protagonista della vita mondana dellepoca, amica di nobili ed intellettuali, ammirata, ritratta e celebrata da molti, amata perfino dall’imperatore di Germania Guglielmo II. Personaggio interessante, questa contessa; ma la sua è un’altra storia, che al momento non ci riguarda.