MARINO CONTARINI E LA CA’ D’ORO:IL SOGNO DI UNA VITA
Notevoli risvolti economici ebbe il matrimonio di Marino Contarini con Soradamor Zeno. Se poi sia stato anche un matrimonio d’amore, non è dato sapere; ma, per come andavano solitamente le cose all’epoca, specie nelle famiglie patrizie, pare che questo particolare fosse pressoché irrilevante.
Di sicuro rilevante, sia per la vita di Marino, sia per noi che, tanti secoli più tardi possiamo ancora goderne gli effetti, fu un altro evento. Perché dalla famiglia della moglie, anch’essa dell’antica aristocrazia cittadina, intorno al 1412, a sei anni dal matrimonio, il Contarini acquistò una proprietà di S. Sofia, che doveva comprendere, oltre allo scoperto, un fabbricato di ampie dimensioni, tanto da essere definito “Domus Magna”. E da qui, come si sa, deriverà la Ca’ d’Oro.
Dovette trattarsi di un spesa piuttosto pesante anche per un mercate facoltoso come ormai era diventato il Contarini, se è vero che egli fu costretto ad impegnarvi, totalmente o in parte, persino la dote della moglie. Esiste infatti una quietanza del 12 agosto 1412 (Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, Citra, b. 269 bis, olim Misti, b. 123), rilasciata a pochi mesi dall’acquisto con cui le confermava l’integrità della dote ricevuta, costituendo su di essa una cauzione; contestualmente dichiarava che, così facendo, intendeva porsi al riparo da eventuali ritorsioni da parte dei parenti di Soradamor.
Gli anni della maturità del Contarini sono tutti dedicati alla ristrutturazione della fabbrica già esistente in Santa Sofia. I lavori iniziarono poco dopo l’acquisto e durarono probabilmente dal 1421 al 1443: sono ipotesi del tutto plausibili perché ogni progetto, ogni spesa, ogni contratto o committenza, ogni quietanza di pagamento, è scrupolosamente annotato e conservato.
Da questa ricca documentazione originale, spesso autografa, apprendiamo come Marino Contarini non si sia limitato alla committenza e al finanziamento dei lavori, ma ne sia stato in realtà l’ideatore: la mente dell’intero progetto di restauro (perché di questo si tratta) e decorazione, che, prestò le proprie soluzioni originali ad uno stuolo di architetti, capimastri e decoratori, pittori, incisori, scultori chiamati semplicemente a realizzarle.
E non è che si trattasse di artisti o artigiani inesperti o di poco conto, né che si lesinasse su opere e materiali. Come ben dimostra il fatto che, alla fine, quella che era semplicemente la Ca’ Granda diventerà nientemeno che la Ca’ d’Oro.
Egli vi profuse un norme capitale di risorse finanziarie e spirituali, e a lui va senz’altro il merito di aver saputo armonizzare in un’unica splendida opera gli apporti e i contributi di tanti maestri e di tanti artisti di scuole e anche di provenienze diverse e contrastanti.
È persino commovente osservare come in questa impresa, che sicuramente comportò un impegno economico tutt’altro che trascurabile, Marino si sia dedicato con intelligenza, abnegazione, generosità e attenzioni costanti, facendolo diventare l’avvenimento attorno al quale, per lunghi anni, ruotarono tutti i suoi interessi e le migliori energie. Senza peraltro poter trascurare, nel contempo, gli affari e i traffici che lo impegnavano in varie piazze del Mediterraneo.
Qual era il fuoco che ardeva al di sotto di tutto questo? Ambizione? Ostentazione? Desiderio di prestigio? Oppure per l’arte e mecenatismo? Non credo, o comunque non solo e non così “semplicemente” amore: piuttosto una passione divorante ed esclusiva, diventata il sogno di una vita.