GLI ZUAVI PONTIFICI E LA PRESA DI PORTA PIA.
Successivamente alla vittoria della battaglia di Castelfidardo contro le truppe garibaldine, Mons. De Merode (1) decise di proporre la creazione di un corpo speciale: così il 1° gennaio 1861 venne creato il Battaglione degli Zuavi Pontifici (2), per difendere lo Stato Pontificio. Tale corpo era reclutato fra le famiglie aristocratiche francesi, belghe, italiane. Venne posto agli ordini del barone Athanase de Charette de la Contrie(3), il quale si era battuto per far approvare il battaglione, vincendo tutte le resistenze.
Sui libri di storia spesso si legge che trattavasi di mercenari, di stranieri non graditi e quasi briganti. Ma non era proprio così. “La paga dei mercenari di Pio IX era esattamente di cinquanta centesimo al giorno, una razione di minestra, pane e caffè.
Molti appartenevano ad alte classi sociali o erano di nobili origini ed offrivano assieme con le loro ricchezze anche i loro servigi personali alla Santa Sede” (4). La maggior parte degli zuavi non ritirava nemmeno il “soldo” anzi molti di essi lo donavano all’Oblo di San Pietro: significativo il gesto del duca di Chevreuse, che, all’atto di congedo dopo la campagna di Mentana, donò la cifra di 50.000 lire.
Nonostante la diversità di rango per nascita, tra loro, gli zuavi si comportavano fraternamente tanto che le prime parole pronunciate da de Becdeliévre, appena assunto il comando, furono: “Signori, qui non si conoscono privilegi; io non conosco in voi che soldati: Duchi, Marchesi, Conti, Visconti e Baroni scompaiono sotto la divisa dello zuavo, e non rimane di nobile che la valentia di ciascuno e la costanza nella virtù militare”.
La stima che riscossero gli zuavi fu ampissima, sia nella nobiltà romana che estera poiché i loro servigi andarono oltre il militare(6): si ricorda in particolare la eroica gestione della situazione in Albano, divenuta assai critica allo scoppiare del colera, nel 1867. Nello stesso anno, durante la famosa vittoria della battaglia di Mentana, gli Zuavi subirono 24 morti e 57 feriti e per festeggiare la vittoria, al rientro a Roma, “il popolo, il vero grande popolo di Roma, provvide senza che avesse l’obbligo di fare ciò e di spontanea volontà, agli onori che erano loro dovuti. Questa gente non era stata affatto stimolata da inviti dei funzionari […], quattro righe di giornale avevano annunciato la vigilia, l’arrivo delle truppe, e nondimeno tutta Roma aveva lasciato le proprie abitazioni per slanciarsi sulla strada dove dovevano arrivare coloro che tornavano da Mentana”, così scrive il colonnello de Charette.
In seguito alla battaglia, numerosi esponenti della nobiltà si recarono sul campo di battaglia di Mentana per raccogliere i feriti di entrambi gli schieramenti e, con le loro carrozze, portarli a Roma. Qui si formarono comitati di soccorso che provvidero a creare degli ospedali in alcuni palazzi ceduti dall’aristocrazia romana, come fece per esempio il principe di Sarsina, Don Pietro Aldobrandini, ufficiale dei volontari pontifici di riserva, a Borgo S.Agata, dove vennero curati ben 46 feriti, di questi 16 militari pontifici e 30 garibaldini.
Tre anni dopo, il 20 settembre 1870, Pio IX diede l’ordine al generale Kanzler (7), pro ministro delle Armi, di non rispondere al fuoco italiano e di capitolare per evitare inutili spargimenti di sangue. Il giorno seguente gli zuavi e gli altri militari pontifici venivano scortati fuori porta San Pancrazio, dove li aspettavano gli italiani per rimpatriare da Civitavecchia gli stranieri, mentre quelli di origine italiana venivano spediti nelle fortezze del nord. Durante la sfilata davanti ai generali Mazè e Bixio, eseguita con grande dignità, uno zuavo fece il gesto rituale di mostrare la sciabola per poi riprendersela. Bixio, incantato dalla bellezza della sciabola, gliela chiese in cambio di un’altra. L’ufficiale pontificio gli rispose che non poteva poiché era appartenuta a suo nonno. Bixio chiese dunque chi fosse suo nonno, al che lo zuavo rispose: “se avesse potuto salire al trono di Spagna si sarebbe chiamato Carlo V”; l’ufficiale altri non era che il principe Don Alfonso Carlo d’Austria-Este.
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*1 Mons. Francois Xavier de Mérode (1820-1874) Pro-Ministro delle Armi dello Stato Pontificio dal 1860 al 1865, di antica famiglia della nobiltà franco-belga, figlio del conte Félix de Mérode, ministro di Leopoldo I del Belgio, militò in gioventù nella Legione straniera. Nel 1848 scelse però la carriera ecclesiastica: prese gli ordini, e, caduta la breve Repubblica romana del 1849, partecipò attivamente alla restaurazione dello Stato pontificio.
*2 al costume che i francesi avevano ripreso da una tribù algerina, gli Zwàwa; gli zuavi francesi si erano poi distinti nella campagna di Crimea (1856) ed in quella d’Italia (1859), dimostrando di essere un corpo d’élite a cui poter affidare anche le missioni più rischiose (si veda L. Innocenti, “In Nome del Papa Re” Esperia 2004).
*3 barone Athanase de Charette (1832-1911) tenente colonnello degli Zuavi Pontifici
*4 come riferisce lo zuavo Patrick Keyes O’Cleary “L’Italia dal Congresso di Parigi a Porta Pia”.
*5 Anton Maria Bonetti “La liberazione di Roma” °(1897); “Da Bagnorea a Mentana” (1878); “il volontario di Pio IX” (1890)
*6 Si riporta l’aneddoto assai significativo di quel giorno d’agosto del 1868 allorché un drappello di zuavi in marcia da Frascati verso Rocca di Papa s’imbatté in un gruppo di cavalieri che vollero offrire loro il pasto, chiedendo loro l’onore di poterli servire a tavola. Tra questi improvvisati “camerieri” vi era l’ex re delle Due Sicilie Francesco II e suo fratello, il Conte di Caserta.
*7 barone Hermann Kanzler (1822-1888), generale di brigata, dal 1865 Pro-Ministro delle Armi in sostituzione di Mons. de Mérode.
~ USQUE AD SIDERA ~