I MESTIERI ANTICHI DEI PADOVANI, E LA DEMOCRAZIA DIRETTA.
Attraverso le ‘fraglie’, le associazioni di categoria, a Padova come in tutto il Nord, si era abituati ad esercitare un controllo sul potere politico. I suoi rappresentanti, liberamente eletti, affiancavano i maggiorenti nel governo della città. E Padova, non diversamente di Venezia, era definita “Repubblica”. Mi è capitata tra le mani la descrizione dei vari mestieri dell’epoca, così come sono dipinti sul “Palazzo della Ragione”. Che resta il più grande monumento alla democrazia “ragionata” dell’Europa medioevale. E l’ho letto, con un po’ di orgoglio patavino nel cuore. 🙂 Ma al di là di facili campanilismi, resta una bella testimonianza dello sviluppo civile prima di tutto dei Veneti di allora.
Rivestono particolare interesse alcune raffigurazioni padovane di artigiani… numerosa, vivaci e particolareggiate. L’imponente ciclo decorativo, a fresco del palazzo della Ragione realizzato tra il 1420 e il 1425 da Giovanni Miretto e da Stefano da Ferrara rappresenta una quantità veramente notevole di professioni e mestieri: un amanuensa, un arrotino che affila la lama sulla mola assistito da un garzone, un vivaista, un alchimista con un fornello e una storta, un uomo che legge un rotolo di pergamena, un contadino che spala il grano, un mercante dietro a un banco su cui sono appoggiati tre contenitori con un coperchio conico nell’atto di vendere a una donna merce da vendere in cartocci di carta (la mia memoria va ai “scartosi” che i salumieri di un tempo confezionavano con bravura oggi irripetibile, piegando i lati in maniera misteriosa grazie alle loro dita velocissime n.d.r.), un mandriano, due tappezzieri, un contadino che spicca i grappoli d’uva con una roncola, un banchiere intento a pesare con una piccola stadera, una donna che fila con il fuso e una rocca (se è presente dobbiamo pensare le filatrici organizzate in fraglia con le loro rappresentanti n.d.r.) , un fornaio che maneggia la pala inserita nella bocca del forno, una officina di fabbri in cui maestro e garzone sono intenti a forgiare un pezzo di ferro arroventato sul fuoco, tenuto fermo con le tenaglie sull’incudine e battuto con un martello, un uomo che zappa, due armigeri, due professori intenti a disputare, un cavadenti, un predicatore, un uomo che legge un libro su un banchetto sul quale sono disposti altri libri chiusi, un maestro dello Studio che legge agli studenti (dell’università) un libro e lo commenta insieme a un dottore, un altro fabbro che modella a colpi di martello un pezzo di martello appoggiato a un’incudine, un carrettiere, un contadino che vanga, un uomo che scava una fossa (forse un becchino) , un uomo che pianta due alberi, due conciatori intenti a tirare pelli su un telaio (la mia memoria va al quartiere Conciapelli, demolito da un sindaco scriteriato negli anni Sessanta), un calzolaio intento a estrarre una forma dalla scarpa appena terminata, un lapicida che incide un pezzo di pietra con scalpello e mazzuola, un’altra bottega di arrotino col maestro assistito dal garzone che fa girar la mola, un costruttore di barche che sta battendo gli ultimi chiodi sullo scafo già terminato, un falegname che sta tagliando un’asse con l’ascia e ha alle spalle una squadra, una sega, alcune trivelle e un rotolo di spago per tracciare le linee di taglio… (Giorgetta Bonfiglio Dosio)
Insomma è il trionfo del mondo del lavoro, l’orgoglio di una città industriosa ben lontana dal mondo medioevale dei valvassori e valvassini che ancora tenevano in pugno altre zone dell’Italia di allora.