I TRIBUTI DEL POPOLO AL DOGE…
di Teusk
Il popolo stesso concorreva a rendere più agiate le condizioni del suo principe. L’onorario del Doge, che si pagava a trimestri, secondo l’uso veneziano, era costituito da tributi in denaro di alcune terre soggette e da una sovvenzione del pubblico tesoro, ma vi si aggiungevano anche doni in derrate, in merci, in stoffe per parte di alcuni comuni, di monasteri e di confraternite delle Arti.
Ad esempio il comune di Piove di Sacco dava una certa quantità di lino tessuto, l’arte dei merciai “una tasca de “veludo cremesin” con l’arma darzento del Principe”, i fustagneri e i bombaseri tele di bambagina per letti e per uso di casa, i barbieri pagavano il vaiaio, che accomodava le pellicce del Doge e della sua famiglia.
Non si trascuravano nemmeno le ghiotte vivande e i vini più prelibati per le mense del Principe; pesci d’ogni qualità, in particolare storioni e sogliole, assieme con anitre selvatiche (oselle), erano forniti dai proprietari delle valli da pesca e da caccia e dai pescatori di San Niccoló che a Natale offrivano duecento cefali e venti oselle. Per la stessa occasione il comune di Chioggia dava una piccola botte (caratelo) “de quarte 8 de bon vin dolse trebian col caratel condutta a sue spese fin in caneva del Doxe” e due anfore e mezzo del prelibato vino di “ribuola perfettissima” gli mandava il comune di Muggia. Questo tributo era recato da due ambasciatori che giungevano dall’Istria con una barca condotta da dieci uomini ai quali il Serenissimo offriva lauto cibo.
Anche talune magistrature offrivano a Natale regalie e vettovaglie, come l’ufficio delle “rason vechie e nove”, il quale mandava dodici maiali di duecento libbre ognuno.
Al tributo gastronomico contribuiva anche il clero: il Patriarca offriva a Natale quindici Capponi “boni” e quindici paia di oselle “bone”; un maiale da duecento libbre dava in offerta il monastero di Santo Spirito e uno da 120 quello di Sant’Antonio.
Più graziose le regalie di altri monasteri come ad esempio quello di San Zaccaria e di San Lorenzo che erano tenuti a dare ogni anno in 17 volte “calisoni” cioè ciambelle in numero di 1020. Una cestello con 100 calisoni indoradi portava al Doge, il giorno di Natale, il monastero di San Giorgio ma vi aggiungeva 4 guastade dorade con l’arme del Principe “do piene de moscatello e do piene de vin de Marcha”.
Anche lo scalco (maggiordomo), il Cancelliere Grande, il cuoco e il fornaio del Doge ricevevano doni natalizi.
Le consuetudini quotidiane del Doge però erano modeste; spesso riceveva nelle sue stanze gentildonne e patrizi offrendo rinfreschi di “storti, buzolai, pignocadi, confetti e pastarei” e soltanto per le cerimonie o solennità religiose appariva circondato da un fasto incomparabile e, ricordiamolo, questi elencati erano i soli doni che poteva ricevere.
da Molmenti