IDENTITA’ VENETA, COME E’ STATA COSTRUITA NEI MILLENNI.
Di Millo Bozzolan
Di cosa è fatta l’identità di un popolo? di molte cose, che si riassumono in una visione comune del mondo, con questa visione si affrontano i problemi del vivere, e si progetta il futuro, guardando sempre di non tradire il passato. E noi Veneti, di passato ne abbiamo tanto, da far impallidire persino la lunga storia di Nazioni molto importanti e grandi, quali la Francia e l’Inghilterra, ad esempio. Non è una vanteria sciocca, la nostra. Di Veneti si parlava più di tremila anni orsono, dei Veneti del nord est dell’Italia, almeno, perché bisognerebbe considerare anche i Veneti di varie parti dell’Europa egli ‘Eneti’ del Medio Oriente che allevavano ‘bianche mule selvagge’, descritti da Omero come alleati valorosi dei troiani.
Ai Veneti antichi non piaceva la guerra: non guerreggiavano come i Celti, per vivere di saccheggio e di bottini. Ai Veneti piaceva la pace, ma si difendevano valorosamente se attaccati.
Sconfissero pure i temibili spartani, che risalitono la Brenta con delle navi i cui rostri ancora si vedevano esposti, ci racconta Tito Livio, nel tempio di Giunone (in epoca romana, probabilmente prima era dedicato allaDea Reitia) a Padpva, come prede di guerra. Gente pacifica, ma determinata a difendere la libertà. Salvarono addiritura la Roma dei re, quando Brenno, re dei Galli (Celti) la invase, invadendo a loro volta i terotori celti e costringendoli a una precipitosa retromarcia dal Lazio.
Di loro, e delle loro misteriose origini ne parlano gli storici romani e greci: e ne delineano delle caratteristiche che ancor oggi troviamo ben vive. Gente valorosa in guerra (pensimo ai nostri alpini nelle due grandi guerre), con uno spiccato senso religioso, (non dimentichiamo che questa terra era definita, fino a pochi decenni or sono, la Vandea italiana), e infatti i culti degli dei del tempo erano molto praticati e sentiti come identitari: laboriosa, perché secondo Polibio, solo da Padova, specializzata nel tessile, partivano carovane enormi cariche di stoffe dirette al mercato di Roma lavorate dai nostri avi. Con una società priva di re, ma governata, probabilmente da assembee popolari, divise nelle classi sociali di allora. Insomma, tutta questa eredità non sparì con la romanizzazione, ma proprio grazie ad essa, poichè godevamo di ampia autonomia municipale in quanto antichi alleati, attraversò i secoli fino a essere raccolta dalla Repubblica di Venezia che riunificò quello che ancora era considerato un territorio con una identità comune e forte: la X Regio Venetia et Histria.
Venezia e il suo stato non nacquero dal nulla, riprendevano il cammino comune ai Veneti, ma nello stesso tempo, Venezia diventava un simbolo di valori universali, che potevano essere condivisi da altre Nazioni. In questa universalità condivisa, basata su principi cristiani (allora era così, piaccia o meno) ogni popolo, veneto vero e proprio o di altra etnia, era “veneto” nel senso più alto del termine. Dominuim Venetum conservat Republica, Religione, Lege, Iustitia, Subditos, Charitate, Amore, Pietate. Cosa significa, questo “latinorum” astruso? semplicemente che la Repubblica conserva il suo stato (Dominium) attraverso la Legge (non quindi l’arbitrio del Despota), la Religione che garantiva la giustezza delle leggi ispirate a principi naturali, e la Giustizia, che era tenuta ad applicare le leggi di derivazione cristiana, mentre i suoi cittadini erano ‘conservati’ dalla Carità, dall’Amore, dalla Pietà.Tutte virtù del Buon Governo come lo si intendeva allora, e come non lo si intende più oggi. Pare che l’amore, la pietà e la carità dello stato verso i cittadini, sia una anacronismo. Esistono solo ‘diritti’ e carte costituzionali, ma manca l’amore di fondo, in una civiltà basata sull’egoismo.
E’ a questa universalità di valori, a parer mio, a cui il movimento indipendentista dovrebbe far riferimento, non all’identità artificiosa su cui invece da Napoleone in poi, si sono fondati gli stati moderni. Non una Patria monoblocco, dunque, ma una rinata Patria Veneta che comprenda tante piccole Patrie, con tante storie diverse, unite dal passato percorso comune, sotto il segno universale del Leone marciano che difendeva le diversità, fino a rinunciare ad imporre una lingua unica. Così ogni città diventava una piccola Nazione a sè bastante, non omologata a forza, gelosa delle sue peculiarità e pronta a morire, come accadde in tanti secoli, fini a quel tragico 1797, per difendere “San Marco benedetto” che garantiva le libertà di tutti.