di Antonia dei Todeschi.
Nei paesi mussulmani il commercio dei Veneziani era soggetto a severe limitazioni di tempo a causa del continuo stato di guerra con i cristiani e tra mussulmani stessi. La cosiddetta extraterritorialità, quando concessa, si limitava spesso solo alla concessione di un fondaco e a pochissime altre facilitazioni.
Nella prima parte del 1200 Venezia inviò numerose ambascerie nei paesi mussulmani e concluse anche importanti trattati. Si trattava di fissare regole, ma ogni accordo era labile e revocabile. Anche in assenza di accordi, però i divieti non furono sempre rigorosamente applicati poiché essendo questi paesi prevalentemente poveri di risorse forestali avevano continuamente bisogno di legname per tutti gli usi e in cambio fornivano spezie, materiale per le tinture, il cotone ecc… In pratica, al di la dalle religioni e dalla politica, il commercio era mutuamente necessario. Questa situazione di ambigua interdipendenza durò fino a tutto il XVII secolo.
La quarta Crociata, nel 1204, con la creazione dell’ Impero Latino, rafforzò questa rete commerciale e i relativi insediamenti e fece ulteriormente avanzare verso Oriente la frontiera del commercio Veneziano. Esso poté penetrare così nel Mar Nero, che fino a quel momento era stato riservato alla navigazione bizantina con qualche rara concessione ai Genovesi, nonostante la condizione privilegiata che Venezia aveva nei traffici con l’ Anatolia. La sua prima base fu a Soldaia, sulla costa meridionale della Crimea che univa il sud della Russia ad uno dei grandi collegamenti stradali verso le Asia Centrale.
I Veneziani frequentarono regolarmente anche Trebisonda ma dovettero aspettare il 1319 per avere accesso alla Persia e al Turchestan anche se avvenivano sporadiche infiltrazioni di mercanti veneti. Pietro Viglioni, nel 1265 non trovò a Tabriz, nessun connazionale che potesse fargli da testimone per il suo testamento.
A partire dalla metà del XIII sec l’espansione veneziana fu favorita dall’unificazione di gran parte dell’Asia sotto il dominio mongolo che riaprì il traffico sulle vecchie vie carovaniere e le rese più sicure riducendo considerevolmente le spese di protezione. Il segnale di qualche difficoltà lo si può cogliere ancora però negli anni 1278/1280 nella riduzione da due ad uno dei viaggi delle galere in Siria, in Armenia e in Egitto. In questo caso però le cause sono ricollegabili anche alle epidemie che, secondo i cronisti dell’epoca, colpirono questi paesi in quegli anni.
I Veneziani non tardarono, più tardi, a riprendere il diritto di percorrere con le loro navi il Mar Nero e alla caduta di Acri ci fu anche chi non ebbe timore di trasferirsi verso est nelle regioni del paese dei Tartari, come Isacco Venier, il quale vi soggiornò a lungo. Come si vede un comportamento sempre al limite tra il concesso e l’avventura, tipico della intraprendenza mercantile.
Al di là dalle destinazioni, è interessante anche il modo di procedere. I mercanti viaggiavano al seguito delle merci proprie o avute in affidamento da soci e approfittavano delle numerose soste della nave per scambiarle con altre che potessero essere spacciate nelle tappe successive.
L’itinerario veniva così frazionato in una serie di vendite e acquisti suggeriti dalle opportunità locali che si concludevano con la liquidazione dei conti entro un limite convenzionale alla fine del viaggio di ritorno.
Il capitale iniziale s ingrossava con rapporti cumulativi durante il percorso e i costi di gestione distribuiti erano su una quantità di operazioni che ne riduceva l’incidenza.
A titolo di esempio, un mercante partiva da Venezia e investiva i suoi denari in merci che vendeva a Zara, guadagnando il 10%, investiva subito il ricavato per imbarcarsi di nuovo e guadagnare a Ragusa il 15%. Qui egli, investendo di nuovo il ricavato poteva imbarcarsi di nuovo per la Puglia, dove questi gli avrebbe fruttato il 20%. A Venezia, dove il suo viaggio terminava, con un nuovo investimento avrebbe guadagnato il 25%. Con questi presupposti si capisce l’interesse a prolungare il circuito con la stessa tecnica fino a Costantinopoli o ad Alessandria, dove con il trattato del 1302 si garantiva finalmente ai Veneziani in suolo d’Egitto di poter commerciare “Sani salvi et securi de havere et personis”
Da queste note si comprende come la creazione di un impero commerciale, come quello di Venezia cominciava ad essere, si basava sullo spirito imprenditoriale, l’attitudine al rischio, economico ma spesso anche fisico, che i nostri antenati si assumevano ad ogni viaggio.
Liberamente tratto da Marco Polo di U. Tucci
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