IL SESSO IN CARCERE NELLE PRIGIONI VENETE.
di Millo Bozzolan
Argomento hard, ocio!
Leggendo della costituzione e dell’attività di una confraternita, che aveva il compito di assistere “i poveri prigioni”, con visite costanti e raccolta di somme per liberare quelli di loro che erano imprigionati per debiti, mi sono imbattuto in una nota che mostra come non fosse poi così dura la vita nelle case penali venete. Infatti essi si preoccupavano di vigilare anche sulla loro moralità,
“affinché non fosse facile a carcerati, guardiani ed estranei praticar la prigione delle donne ed altresì custodia particolare per i giovinetti…In materia di relazioni sessuali è da aggiungere che dalla legislazione, relazioni e provvedimenti amministrativi…si riceve l’impressione che, almeno di fatto, vigesse una situazione di tolleranza.
Ancora alla fine del ‘700 il medico del carcere Francesco Dalessi, lamenterà l’inveterata abitudine secondo la quale, a pagamento, i guardiani sgombravano la più confortevole dei luoghi del corpo di guardia, per consentire gli incontri tra i carcerati e le mogli o amanti o prostitute che bazzicavano la prigione o consentire piccole orge pagate dai più facoltosi dei carcerati. (A.S.V., Avogaria de comun, busta 3617/1).
Da ricordare infine che una “presoncina” (detta “Schiavetta” o anche “Matrimonio”) era, nel Settecento, riservata ufficialmente agli incontri autorizzati di detenuti con le rispettive mogli o mariti ( A.V.S. Avogaria de Comun, busta 3617/1).”.
Altro che legislazione dei paesi scandinavi sui carcerati…noi eravamo avanti di secoli…