IL VECCHIO SCALFARI, I SUOI RICORDI SUI GERARCHI CORROTTI
Ho ascoltato per due minuti con interesse il vecchio Eugenio Scalfari intervistato dalla conduttrice de ‘L’aria che tira” con evidenti simpatie piddine da sempre. Lo scopo della sceneggiata era di fargli dire che Salvini era il diretto discepolo dei fascisti della sua gioventù… ma non è questo il punto.
Mi ha colpito quello che Scalfari narrava; da giornalista in erba, e giovane fascista convinto, aveva provato a denunciare i gerarchi di “Roma capitale” (anche allora) nel suo giornale universitario. In pratica, con l’Eur quartiere da costruire, avevano comprato a prezzo agricolo, terreni poi rivenduti a prezzo urbano. Insomma, politici che fanno politica per rubare indipendentemente del colore della casacca nera, rossa o bianca.
Credo che questo provi per l’ennesima volta, che l’Italia unita, paese nato con l’imbroglio e l’incrocio degli interessi dei poteri forti italiani con quelli stranieri, ma non per volontà popolare o fusione spontanea dei suoi popoli, non abbia alcun futuro come Nazione vera, incapace per more ataviche, di produrre una classe dirigente degna di questo nome. Una cosa è certa: nell’Italia preunitaria la corruzione diffusa non era la regola. Lo divenne dopo il Risorgimento. Quanto al giovane Scalfari, fu spedito come “volontario” in Libia, a incivilire l’Africa al suono di “Faccetta nera”. Nessun gerarca fu rimosso.