ISLAM E SCHIAVISMO, UNA STORIA OCCULTATA.
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Una storia dimenticata. Sovrastata dall’immagine delle navi zeppe di negri che attraversano l’atlantico per riversare il loro carico nelle piantagioni americane. Eppure parliamo di una storia molto più lunga, di un sistema che è andato avanti per più di mille anni (circa tredici secoli), sul quale la storiografia ha preferito parlare a mezza bocca. O tacere.
Il traffico di schiavi sahariani e sub-sahariani attraverso il Nilo era già piuttosto sviluppato in epoca romana. Una volta preso il loro posto in nord-africa, i musulmani lo migliorarono. L’uso delle piste del Sahara aumentò l’afflusso di schiavi anche dalle regioni dell’africa occidentale e, mano a mano che l’Islam estendeva i suoi confini, il limite dei territori “Dar El Islam” (i cui abitanti si erano sottomessi all’Islam) si spinse sempre più a sud. I territori al di fuori del “Dar el Islam”, detti “Dar el Harb”, erano, almeno in linea teorica, i soli dai quali i musulmani potessero prendere i loro schiavi.
Attorno al XII-XIII secolo, la zona del “Dar el Harb” era ormai coincidente con la “Bilad es Sudan”, ovvero la “Terra dei Neri”. Una fonte di schiavi quasi illimitata.
1. Schiavi Neri
I procacciatori di schiavi catturavano gli schiavi direttamente (specie le tribù nomadi), o tramite compravendite con i regni locali, come ad esempio quello del Ghana, l’Impero Gao o, in seguito,l’Impero del Mali. In questo caso, tutto quello che i musulmani dovevano fare era recarsi presso i vari mercati regionali (Gao, Aghordat, o altri locali) ed acquistare i prigionieri catturati nelle guerre interne.
Oltre a questo, i regni vassalli venivano spesso costretti a pagare un tributo in schiavi. Il primo fu istituito nel 652 a carico del regno di Nubia, e prevedeva l’invio di 360 schiavi l’anno (un numero che probabilmente fu aumentato nel tempo), oltre a elefanti e altri animali selvatici. Il regno di Nubia continuò a pagare ininterrottamente per circa cinquecento anni.