LA BASILICA DI SAN MARCO E IL DISCO DI PORFIDO ROSSO
Alvise Zorzi ci racconta un po’ di storia della basilica di san Marco… che non fu l’unica.
Nell’atrio della basilica di san Marco, proprio davanti alla porta centrale, c’è un disco di porfido rosso. La basilica non è quella costruita con i denari del doge Giustino Parteciaco per accogliere le spoglie dell’evangelista san Marco, bruciata con mezza Venezia ai tempi dell’eccidio di Pietro Candiano I, e nemmeno quella fabbricata dagli Orseolo dopo l’incendio.
E’ quella ricostruita regnante Domenico Contarini, con tutta la magnificenza che meritava la cappella dogale, la chiesa di Stato, libera da qualsiasi giurisdizione patriarcale o vescovile. Si era presa da modello una delle più importanti basiliche di Costantinopoli, quella dei Santi Dodici apostoli, e sul suo schema la basilica di san Marco era cresciuta e sarebbe cresciuta ancora e ancora in bellezza e in ricchezza.
Sul modello bizantino non era nata, però, una chiesa greca. Anche se qualche visitatore poteva stupirsi, perché in onore del doge si cantavano (ma in latino, non in greco) le laudi che si cantavano a Bisanzio in onore del basileus. I riti erano quelli della chiesa romana, che i Greci chiamavano latina. Erano in latino anche i versi che illustravano i mosaici; di greco Venezia aveva assai poco, anche s epiù d’uno dei suoi dogi avevano avuto per moglie una principessa bizantina.
Una di queste dogaresse, la moglie di Domenico Selvio, acclamato doge dal popolo nel 1071, aveva grandemente scandalizzato i moralisti per l’abitudine di portare il cibo alla bocca con una forchetta (piròn in veneziano, è la parola che lo indicava ed è termine di origine greca ndR) anziché con le dita.
Era un’usanza bizantina, come bizantini erano profumi ed ornamenti, e, con la forma simile ad un berretto frigio, la stessa corona dogale. Ma i rapporti tra Venezia e Bisanzio si erano alquanto modificati, nel Mediterraneo c’era una nuova ingombrante presenza, i Normanni calati dal nord alla nuova conquista di un regno, a spese degli arabi e dei bizantini.
Indeboliti dalle vittorie turche in Asia Minore, i Bizantini avevano invocato l’aiuto militare dei veneziani in cambio di nuovi, sostanziosi privilegi commerciali: col tempo la preponderanza militare dei veneziani aveva finito per trasformarsi in prepotenza. Almeno così pensava Emanuele Commeno, che si era rivolto a Genova, la più agguerrita concorrente di Venezia. E il disco di porfido rosso nell’atrio della basilica marciana? Anche se qualcuno, oggi, ne dubita, era proprio là, su quella pietra, che si sarebbe svolto l’ultimo atto finale di una nuova lunga lotta tra papato e Impero…. Qui il furbo, ostinato senese Alessandro III Bandinelli si sarebbe riconciliato solennemente col suo non meno ostinato avversario, l’imperatore Federico i di Svevia, Federico Barbarossa, l’eroe che, secondo la leggenda, riposa sotto la roccia del Drachenberg, dove risorgerà il giorno, speriamo il più lontano possibile, della rinascita dell’impero germanico, il rfeich millenario.
Tratto da “San Marco per sempre!” di Alvise Zorzi, edito da Mondadori.