Ma anche sui cavalli di san Marco, I Veneti e l’azzurro.
L’amica Tania Venturelli mi chiedeva tempo fa del perché si fosse passati dal colore azzurro del fondo al color rosso amaranto (porpora, in realtà) dei gonfaloni marciani. Poi passato anche come tinta per le pareti, detta “veneziana”, ancora in uso. Innanzi tutto sfatiamo questa leggenda che oggi corre tra gli indipendentisti: che cioè il gonfalone dei Veneti sia mai stato uniformato con un colore azzurro.
Con le bandiere antiche, quella con ancora il “Leone nimbato”(sospeso nell’aria) e poi in “moeca”i colori del fondo furono vari e mai standard. Abbiamo bandiere che compaiono su una fortezza (quella di Kio, se ricordo bene) in un mosaico nella basilica marciana e lì appaiono bianche, ad esempio. Può anche essere che fossero azzurre o magari di altri colori (io non ne ho memoria), però in epoca più tarda, dal XVI secolo in poi, il Senato veneto, pur non codificando la la grafica del Lion optò per il colore di fondo rosso imperiale. Il richiamo all’impero romano d’Oriente (scomparso con Bisanzio espugnata dal Turco) era evidente. Il rosso porpora poteva vestirlo solo l’imperatore ed era il simbolo quindi un riferimento allo stato e della romanità.
Era come se Venezia affermasse al mondo di aver raccolto la sua eredità, anche come baluardo nei confronti dell’islam.
Ogni riquadro mostra un auriga con il cavallo. Il colore della tunica di ogni fantino rappresenta una delle quattro squadre (factiones) del circo: prasina (verde), russata (rossa), albata (bianca), veneta (azzurro). Mosaico tardo imperiale.
Il colore azzurro di fondo lo troviamo con una certa frequenza invece, a partire dal 1600 ma nelle bandiere militari, e questo perché i Padri veneti conoscevano a menadito la storia dei veneti antichi, così come la riportavano gli storici classici, e conoscevano anche il latino.
Se aprite un buon dizionario della lingua di Cicerone, alla voce “VENETUS” si spiega che significa sia “veneto” che “di colore azzurro”. Infatti i Venetici erano famosi come allevatori di cavalli, ma anche come fantini (mi pare una conseguenza), per cui una loro squadra correva negli ippodromi romani come il Circo Massimo e poi anche all’ippodromo di Bisanzio indossando tuniche di colore azzurro.
Ecco quindi che l’esercito veneto riadottò quel colore, e all’inizio del Settecento, pure una coccarda sul tricorno, per distinguersi dalle altri Nazioni, come scrisse il Savio alla scrittura (ministro della Guerra) di quell’epoca.
E a Bisanzio e l’ippodromo, arriviamo ai cavalli che compaiono sulla facciata della basilica a Venezia.
Mi viene da pensare che la grande coscienza dell’eredità storica, abbia portato i Veneti della laguna a caricarseli su una nave, dopo l’assedio di Bisanzio, tirandoli giù dagli spalti dell’ippodromo, per ripagarsi anche in questo modo dall’aiuto portato all’imperatore spodestato a Costantinopoli.
Scelsero (secondo me) proprio i cavalli come duplice richiamo agli animali anticamente sacri ai Venetici, e ai loro fantini, i quali indossavano tuniche azzurre in quell’ippodromo.
Cari lettori.. questo magari non lo trovate scritto nei libri di storia attuali, però ormai io credo di aver capito nel profondo il modo di pensare di quella straordinaria aristocrazia che rese universale la civiltà veneta, e sono convinto di non sbagliarmi.
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Più che ottimo e credo che veramente la civiltà dei Veneti vada “sentita” e interpretata anche al di sopra dei semplici scritti. L’orgoglio di un popolo non si può scrivere.
Grazie, Gilberto.