LA MULA O MUSSA, DEGLI ANTICHI MONTANARI VENETI
Oggi sotto un gagliardo sole settembrino sono arrivati i “boscarioli” proprietari del bosco confinante, con una slitta fabbricata a mano caricata sulla loro Panda rigorosamente “d’epoca”. La “mussa o mula”, così si chiama, servirà a portare giù dalla cima della collina i pezzi di tronchi appena abbattuti. Proprio come fosse un quadrupede. Tempo fa avevo fatto una ricerca interessante sull’argomento.
Ancora oggi, chi avesse la ventura di passare qui in valle di Seren, nel feltrino, potrebbe essere incuriosito da qualche slitta di legno come questa, fabbricata in maniera artigianale con tecniche antichissime, usata per i più svariati compiti, come portare il fieno, o anche la legna. Fino ad una quarantina di anni fa, esisteva anche una versione “maxi” caricata magari all’inverosimile di legna o pietre, fino ad otto quintali alla volta, mossa da robusti cavalli di razza alpina. Oggi sono sopravissute quelle più piccole, trainate o spinte a mano.
Il mio confinante si è gentilmente prestato da “modello”, e mi ha anche fornito qualche notizia: la slitta si chiama “mussa” (asina per chi non parla veneto) o “musso” (pl. Musse e mussoi), è fabbricata, nelle parti più grosse che fungono da telaio con legno di betulla (perché elastico e pieghevole, oltre che leggero ma robusto), mentre i bastoncini che fanno da base per il carico sono in legno di frassino (veneto-bellunese frassen).
Il mio confinante, Paolo lo vedete nell’atto di trasportare la “mussa”: solo con questa presa si può spostare agevolmente. Mi ha anche precisato di averla fabbricata con le sue mani.
Inutile dirvi che è un vero reperto archeologico, spero che qualche pezzo venga conservato, poiché le nuove generazioni ormai hanno abbandonato questa tradizione. Sulle montagne sovrastanti vi sono dei tratti di sentiero in cui si vedono solchi scavati dai pattini di legno sulla roccia viva a causa del passaggio ripetuto per secoli e millenni. Il che ci dice molto sull’antichità di queste slitte, risalenti probabilmente all’alba dell’uomo moderno. Certamente i nostri precursori venetici, 2000/2500 anni fa, ne usavano di uguali, forse anche in pianura.