LA STORIA NASCOSTA: CI RIVOLTAMMO CONTRO NAPOLEONE MA NON SE NE PARLA
Di Massimo Viglione
La rivolta italiana all’invasore francese: perché gli storici hanno dimenticato le «insorgenze»? Parla Viglione
Intervista di Maurizio Cecchetti
“Il giacobinismo domina da cinquant’anni la nostra storia repubblicana, non per gli aspetti del terrore, ma certamente nella mentalità”. Un parere così reciso lo s’immagina in un uomo di lunga militanza, uno che la Repubblica l’ha vissuta fin dalla sua nascita, invece viene da un giovane, agguerrito e documentato storico italiano, Massimo Viglione, che lavora all’Università di Cassino ed è ferratissimo nel dibattito italiano sulla Rivoluzione francese. Con lui parliamo di questo a partire da un libro che aggiunge una pietra storiografica nella conoscenza di un fenomeno peraltro poco studiato.”Volutamente ignorato per decenni”, ribatte Viglione, che nel saggio «Rivolte dimenticate», appena edito da Città Nuova (pagine 344, lire 38.000) affronta la questione delle “insorgenze degli italiani dalle origini al 1815”.
Bisogna subito intendersi sul termine: che cosa sono le insorgenze?
“C’è una data chiave nella storia delle insorgenze – spiega Viglione – ed è quella del 1796, l’anno in cui Napoleone invade l’Italia. Da quel momento fino al 1799, mentre l’invasione si allarga verso il Sud sboccando nei tragici fatti di Napoli, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini italiani che appoggiavano le istanze della Rivoluzione francese”.
Fu un fenomeno circoscritto?
“Tutt’altro. Gli insorti furono, alla fine, oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono ancor più eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più. Lo storico Rodolico riporta una lettera del generale Thiéboult, uno degli ufficiali che stava insieme allo Championnet, dove dichiara che nei cinque mesi della Repubblica partenopea sono morti 60 mila italiani nella guerra insurrezionale. Ma attenzione: parla soltanto di uomini combattenti e non considera donne e bambini. Le stragi compiute dai francesi furono inaudite, a Isernia in un giorno furono passate a fil di spada 1500 persone…”
Migliaia di persone insorgono contro Napoleone e i giacobini. Eppure molti storici sostengono che la «reazione» fu opera del popolo ottuso sobillato da clero e nobiltà, appoggiati dalla delinquenza locale.
“Questo è uno stereotipo che non regge più. La popolazione era cosciente che Napoleone non costituiva un invasore come gli altri, tant’è vero che gli italiani gli invasori quasi mai li hanno combattuti. Aveva capito che il francese veniva a sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica. Sulla questione del brigantaggio le porto un esempio che viene da Parigi: quando nella capitale francese arrivò la notizia che la regione Vandea non era d’accordo nel diventare atea e repubblicana, che si rifiutava di massacrare i cattolici, tutti i vandeani vennero chiamati briganti: donne, vecchi, bambini, nobili, ricchi, tutti. Fu un escamotage ideologico per dire: tutti quelli che non stanno con noi, sono delinquenti. In Italia questo era più difficile perché a ribellarsi non fu una piccola regione, ma tutte quante, eccetto la Sicilia. Non era facile far passare tutto il popolo italiano per brigante…”