1920, indipendentismo e federalismo, la questione meridionale.
Di Millo Bozzolan
CHI FRENA E CHI SPERA NEL FEDERALISMO, MA PER SCOPI POCO NOBILI, IN MERIDIONE
Riprendo qui il discorso sulle istanze autonomiste (o secessioniste, qui da noi) nei lontani anni ’20 del ‘900. Il dibattito era presente anche in Meridione, ma, sottolinea con una certa ironia Bruno Pederoda, i motivi non sempre erano dettati da desiderio di libertà. Più semplicemente, una maggiore autonomia avrebbe consentito a una classe dirigente locale più corrotta (anche allora) della media nazionale, di spendere a spandere in maniera parassitaria i fondi pubblici.
“Il governo centrale ha molte colpe sulla coscienza, ha commesso errori enormi, si è lasciato talvolta dominare da partigianerie e da camorre specie quando si trattava del Mezzogiorno… ma chi conosce le amministrazioni locali specialmente del Mezzogiorno, sa quale disastro per i contribuenti sarebbe una autonomia più larga di quella concessa.. e i prefetti.. possono dire a quali gesta si abbandonano i piccoli comuni sfuggendo alle maglie già troppo larghe delle leggi..Quasi tutti i comuni e le Provincie d’Italia VIVONO UNA VITA STENTATA PUR AVENDO SCORTICATO I CONTRIBUENTI FINO ALL’OSSO. Cosa pensare allora del gruppo di deputati meridionali che facevano capo al vituperato – dai Veneti – De Nava, i quali avevano sottoscritto un ordine del giorno volto a sostenere “La legittima reazione del Paese contro l’accentramento burocratico”, a liberare il paese “dal soffocamento esercitato su di esso e a reclamare una riforma in senso contrario? Proposito di sottrarsi al non disinteressato paternalismo romano per lasciare campo libero alle proprie capacità e qualità innate o segreta intenzione di arrivar a disporre delle sovvenzioni statali senza essere chiamati a renderne conto, quasi da servitore a padrone? –
Se lo chiede Bruno Pederoda, ma è una domanda retorica, a guardare come oggi sono amministrate certe regioni, soprattutto al sud, non me ne vogliano gli amici meridionali.
cit. Bruno Pederoda -Tra le macerie e miserie di una regione dimenticata. Piazza editore 1999.
Dissento da quest’analisi di Bruno Pederoda… tanti Veneti hanno un animo onesto e candido, ma si fermano talora ai buoni principi, senza infilare il bisturi nelle logiche del potere (che in effetti sono orrende e ributtanti). Con tutta la cattiva mentalità di cui sono ormai impregnate alcune genti del Sud, non troverai mai nessun popolo disposto a scegliere – sua sponte – la via del parassitismo. E’ questa infatti una strada suicida: è un po’ come darsi all’alcoolismo o alla droga… ma ciò avviene sempre se ispirati da cattivi maestri. Dominare i parassiti è cosa semplice per un potere corrotto. Il potere corrotto, al contrario, scoraggia sempre l’onestà, l’amor proprio, la rettitudine… perché contrastano con le proprie mire! Se il regime protofascista costituitosi nel 1861 avesse voluto responsabilizzare l’autogoverno dei vecchi Stati Preunitari, avrebbe potuto farlo con successo. In teoria potrebbe ancora farlo… ma non ha voluto, non lo vuole neppure oggi. Le cerchie massoniche italiane fanno la bella vita organizzando comitati d’affari e corrutele, ben protette dietro l’ideologia unitarista di stato. Ergo, accusare il Sud è tempo perso, oltre che ingiusto, anche se alcune colpe ce le hanno anche loro.