La submersione del Faraone
di Theusk
La “Submersione del Faraone” ( conosciuta anche come sommersione del faraone) è una xilografia (incisione) del pittore Tiziano Vecellio, altresì noto come Tiziano, composta da ben 12 fogli che misurano in tutto mm 1210 x 2210 e che, per i riferimenti politici sottesi, si riferisce alle vicende della guerra di Cambrai.
Venne pubblicata da Domenico dalle Greche nel 1549 a Venezia ma fu probabilmente preceduta da una precedente edizione ad opera di Bernardino Benaglio e lo si deduce dal fatto che fu proprio lui , nel 1515, a chiedere al Senato il privilegio di pubblicazione.
Non abbiamo notizie riguardanti l’intagliatore dell’opera, ragion per cui alcuni studiosi hanno ipotizzato che lo stesso Tiziano abbia eseguito i disegni sui legni.
Il riferimento alla narrazione biblica è letterale: difatti come si può ben vedere dal foglio n.8 di 12 rappresentato a fianco, l’armata egiziana lanciata all’inseguimento del popolo d’Israele guidato da Mosé, nel passare il varco apertosi nel Mar Rosso, viene sommersa dalle acque ritornate, ad un cenno del Profeta, nella propria sede naturale.
Come accennato, l’opera allude agli avvenimenti relativi alla disastrosa esperienza bellica di Venezia, sola contro la perfida lega di Cambrai.
Preludio di questa guerra furono a quel tempo molti segnali premonitori come l’incendio dell’Arsenale, l’apparizione di comete, di saette folgoranti e di violenti terremoti.
Nei veneziani si fece così strada la convinzione di essersi meritati tante disgrazie perché macchiatisi davanti a Dio di qualche irreparabile colpa che molti identificarono con la smania di guadagno delle classi più abbienti che aveva portato ad intraprendere l’espansione in terraferma trascurando le tradizionali attività mercantili.
Anche il doge Girolamo Priuli (1486 – 1567) nei suoi diari, esprime la stessa convinzione:
Non he dubio alcuno che la citade veneta sia venuta a tanta reputatione et famma…per li traffegi et navigatione continui, che se fanno et per li viagij mentre la terraferma desidera solazi e i veneziani erano nutriti in tante delicatezze et morbidi et lascivie…che erano impoltroniti, inviliti et infiammati.
Molto avvilente era per il popolo della Serenissima sentirsi circondati da così numerosi e invidiosi avversari, perché lo Stato, mai come in quel momento appariva solido e magnifico e i nemici in esso vedevano una terra promessa da cui scacciare i legittimi occupanti .
Nei veneziani si fa strada la consapevolezza che la lega di Cambrai altro non sia che una crociata contro di loro e così la giudica anche il Da Porto scrivendo al Savorgnan nel marzo del 1509:
Io stimo che voi mi teniate, domandandomi nelle vostre lettere per qual cagione io penso che tanta crudeltà sia usata ai veneziani, di far loro una crociata, quasi fossero infedeli.
E lo stesso dirà il mercante Martino Merlini scrivendo nel giugno del 1509 al fratello:
No vojo dir Liga ma cruziata contro questo stado, che mai per christiani sea posudo unir e ligar contra turchi chani et infedelli, ma tal cruziata chome iano fato contro de nui, poveri veneziani, che sempre semo stadi, chome tuto el mondo sa, schudo e defensori della jexia e de tuta la cristianità.
L’atmosfera a Venezia si faceva così sempre più pesante ed è in questo contesto che si coglie l’identificazione, a livello figurativo, del popolo veneziano con quello ebraico, perseguitato.
Tiziano matura quest’opera nell’anno più cruciale della crisi veneziana successiva alla guerra di Cambrai: il 1513, quando l’entroterra veneta si trova ad essere nuovamente percorsa dalle truppe nemiche che vi dilagano.
Nel maggio del 1513 le armate imperiali sfondano di nuovo le resistenze veneziane in terraferma e secondo il cronachista Marin Sanudo, i villaggi lungo la Brenta vengono saccheggiati e dati alle fiamme. La situazione si aggrava con la distruzione di Mestre e dal suo territorio le truppe spagnole di Raimondo di Cardona cannoneggiano, ma con scarso successo, Venezia.
Le prospettive dovettero apparire disperatissime per il futuro se, come scrive il Gilbert, persino lo stesso Doge Leonardo Loredan ritenne di dover fare una pubblica confessione imputandosi un passato di vita troppo agiata ed opulenta. Vennero sollecitate nuove leggi riparatrici come le elemosine ai poveri o la proibizione dei festeggiamenti per i matrimoni, ma ciò non bastó a non infondere nel popolo la paura che trovava eco nelle dicerie popolari e nelle profezie.
La stampa della “Submersione” quindi è da interpretarsi come viva partecipazione agli avvenimenti della guerra di Cambrai, con l’umiliazione del popolo veneto come già quello del popolo d’Israele, ma soprattutto come esaltazione dei valori rappresentati dalla Repubblica, la certezza della sua vittoria e la volontà di affermazione dei veneti contro tutte le premonizioni di sventura.
Nell’opera, il popolo, umiliato dalla collera divina, ma ora trionfante sul nemico in sfacelo, è raffigurato in umili vesti contadine e questo per sottolineare la consapevolezza dell’artista del ruolo importante svolto nella guerra proprio dagli abitanti della terraferma così come ce li descrive ancora Gerolamo Priuli:
Non he veramente possibile descrivere la grande et svisserata demonstratione
e ancora il Sanudo gli fa eco:
Quale facevano li contadini, zoè li vilani de tuti li territori, che herano statti sotto il dominio veneto…et haveano scolpito il nome Veneto nel cuore et parati de patire mile morte, se tante potessero patire, per la Repubblica Veneta, né altro haveano in bocha salvo “Marco! Marco!” et veramente che l’era chossa incredibile!!
Ecco spiegata l’identificazione del Tiziano , del popolo salvato dai villani che appunto erano riusciti a fermare il nemico sull’orlo delle acque salse, cioè i flutti che travolgono l’esercito del faraone.
Il nemico, descritto dal Priuli come
malissimo apto et esperto in lo exercittio maritimo, et maxime in chanali, paludi et chanedi…nè sapevano molte volte venir a Venetia, che rimanevano in secho
era concentrato nella persona del re di Francia al punto da fare invocare al Priuli
doverianno desiderare (i veneziani) cum tuto il cuore et affectione loro, che questo grande et potente Roy de Franza dovesse venire a lo asedio dela citade; circhundato dale acque et in tanta fortezza constituita, che hera quasi impossibele a poterla prendere, et che questo grande Roy, cum la sua potentia et lo suo exercito et forze saria necessaria et astrecto ritornare indietro cum jactura et vergogna assai, et che potriammo ettiam fare vendecta de le tiranie et jniura ricepute da francexi, et haveriammo lassato il nome Veneto in perpetua memoria
Così l’esercito nemico si ritrova nell’opera del Tiziano ridotto ad una fine miseranda travolto dal mare creato dalla volontà divina e stretto tra la Gerusalemme (Venezia) Urbs Perennis, protetta da Dio e dal popolo salvatore (i villani).
liberamente tratto “Tiziano a Venezia” convegno studi 1976 di Loredana Olivato