di Antonella Todesco.
Nel testamento del Doge Tomaso Mocenigo (1423) vi è una descrizione precisa della flotta posseduta dalla Serenissima: 45 galere (tra grandi e piccole), 300 navi mercantili superiori alle 120 tonnellate e 3000 navigli più piccoli; un potenziale assai elevato che pochissimi altri stati potevano eguagliare.
La diversa capacità delle navi segnava la divisione di differenti itinerari commerciali: uno di lunga portata e l’ altro per tragitti brevi. Dal 1324 le “mude” come si chiamavano questi viaggi in convogli, furono regolari fino al 1500 e si tennero ogni anno in primavera ed estate. Le mete principali erano la Romania (cioè Costantinopoli), Beirut, Alessandria d Egitto, la Barberia ma anche le Fiandre,( soprattutto a partire dal 1385), Aigues Mortes, Londra, Bruges, Valencia e Southampton.
In alcuni anni fu possibile
organizzare anche quattro mude per Costantinopoli, variava però il numero delle galere: da otto a undici negli anni prosperi e da tre a quattro in quelli meno felici.
Oltre a questi viaggi vi era la muda annuale dei cotoni fatta con le capaci cocche che toccavano i porti di Siria e di Cipro da dove veniva importato in grandi quantitativi anche lo zucchero di canna.
Il commercio “minore” veniva effettuato all’interno dell’Adriatico con l’importazione del sale, di cui Venezia aveva cessato di esserne la principale produttrice per il nord della penisola italica, e del frumento per il quale, vista la crescente popolazione, si doveva necessariamente ricorrere ad altri granai come quello di Puglia, della Sicilia, della penisola Balcanica. Dall’Istria si importavano prevalentemente materiali da costruzione e prodotti agricoli; da Candia il famoso vino, frumento e olio.
Accanto a questi circuiti commerciali dati in appalto, c’ era anche
una marineria libera che commerciava in proprio o per conto terzi ma che spesso, esposta a rischi elevati , si aggregava volentieri ai convogli delle navi più grandi.
Si intendeva così ripartire l’alto rischio, non commerciale, bensì quello insito nel viaggio per mare, attraverso forme di compartecipazione per cui vennero stipulati contratti di “colleganza” nei quali vi erano due contraenti: il “procertans” cioè il mercante che compie il viaggio e che metteva un quarto del capitale nell’impresa, e il “socius stans” che investiva tre quarti del capitale ma non partecipava al viaggio. Al ritorno, detratte le spese, il guadagno veniva suddiviso in parti uguali.
Lib tratto da: “Venezia” di D. Crivellari
Una considerazione a margine, sui moderni “business angels” o sui fondi di investimento che finanziano per professione imprese altrui, ricavandone buoni profitti.
Nella percezione comune sono una invenzione moderna, magari anglosassone. Siamo convinti che siano frutto di una società dinamica ed evoluta, magari 4.0, fortemente connessa e tecnologicamente avanzata come la nostra.
Vediamo invece che, anche in questo, la pragmatica visione mercantile veneziana aveva anticipato di secoli il nostro modo di fare impresa.
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