LE PROSTITUTE VENEZIANE. ESCORT E… BATTONE
Di Milo Boz
VENEZIA FU ANCHE CITTA’ DI PIACERI (MA NON SOLO!).Vi era certamente una Venezia gaudente, che a torto ha finito per coprire, a volte, le virtù della società veneta, che erano ben altre. Bisogna tenere presente, per capire la rilevanza del fenomeno, che Venezia fu una delle capitali europee, una delle città più ricche del continente, e una delle più popolate durante il Medio Evo ed il Rinascimento. Città cristianissima comunque, che aveva con le Scritture un rapporto diretto paragonabile a quello dell’ambiente protestante, a volte, tanto da intitolare una chiesa a Mosé, personaggio dell’antico testamento. I suoi governanti tuttavia, come del resto era in uso in tutti gli stati cristiani, ancora non ottenebrati dalle’ideologie moderne, che fanno sparire i vizi umani con un tratto di penna (vedi da noi la legge Merlin), tollerava e regolamentava la prostituzione. Per lo spirito dei nostri Padri, era però importante che ogni personaggio, nella società, avesse un ruolo ben definito e che lo si potesse ben identificare. Per cui, una meretrice, poteva pretendere anche il titolo di “honorata” se esercitava il suo mestiere correttamente, e non pretendeva magari di finire in parlamento, come succede oggi. Essa d’altro canto, era obbligata a indossare certe vesti, che la distinguessero dalle donne comuni, in chiesa e durante la passeggiata in pubblico. Esistevano dei cataloghi, ad uso dei turisti, con le tariffe e i luoghi dove trovarle, ed erano diffusi specie durante il Carnevale. In uno di questi, di epoca rinascimentale, il compilatore riportava il nome, l’indirizzo “della contrata ove son le loro stantie, et etiam il numero delli danari che hanno da pagar quello gentilhomeni che desiderano entrar ne la sua gratia. Con pedanteria segnalava il numero delle “lavoratrici” che”è di 210, et chi vol haver amicitia de tutte bisogna pagar scudi d’oro 1200”.
A Santa Maria Formosa, al n. 205, troviamo la famosa cortigiana Veronica Franco, forse agli esordi, “pieza so mare” (presso sua madre) al prezzo ancora conveniente di due scudi. per “Adriana Schiavonetta, donna maritada, presso Catarina so mare” bastava uno scudo soltanto. Anzola Vedova “l’è un poco vecchia” anche lei si contenta di uno scudo. La Chiaretta Padova, bastava ”bater al porta, parlar a so mare, dar quel che si vol”. Lo stato controllava, tollerava pensando che le prostitute distogliessero dal “vizio di sodomia” (come esse stesse fecero notare al doge in una petizione perchè intervenisse contro tali usanze contro natura -almeno allora era così) e destinava appositi spazi pubblici, per le “carampane” (le battone di oggi) in cui potessero esibire “le tette”. E vi è rimasta traccia nella toponomastica veneziana.
Le più rinomate raggiunsero le vette del mestiere, come la Veronica Franco, erano etere coltissime, frequentate dai più rinomati intelletuali e nobili della città, quando addirittura non venivano ingaggiate “in missione” dal governo veneto per intrattenere non solo col corpo ma con la loro cultura, delle teste coronate.
Tuttavia, vendere il proprio corpo per soddisfare i bassi istinti, non poteva essere certo incoraggiato (anche se tollerato e regolamentato) per cui il cristiano governo veneto incoraggiò sempre le prostitute che volevano cambiare vita, indirizzando in tal senso la carità privata verso istituzioni o associazioni che davano assistenza alle derelitte, o promuovendo, come nel 1703, degli ostelli dove ricoverare queste donne senza mezzi di sostentamento onesti. Tale ospizio si chiamò “delle penitenti”. “Cresciuto in brevissimo tempo il numero delle ospiti si troverà un nuovo e più grande Ospizio a Cannaregio, nella zona di San Gobbe. qui si costruirà anche la chiesa di S. Maria delle Penitenti”(1730-1738) su progetto di Giorgio Massari. La facciata tuttavia rimarrà sempre incompleta, anche se sarà aperta al culto nel 1744. Veronica Franco stessa, ormai ricca, nel suo testamento lasciò una cospicua somma per l’aiuto delle prostitute che volessero cambiare la loro vita e tornare ad essere vere “putte honorate”.
fonti:
Venezia libertina di Claudio Dell’Orso
Atlante storico della Serenissima di Giovanni Di Stefano