Il frutto di una mia piccola ricerca, che mi ha permesso di collegare il cappotto da lavoro (si chiamava “gabàn, così dicevano i nostri nonni) dei pescatori di Chioggia all’impermeabile “ante litteram” indossato dai soldati veneti per coprirsi dalle intemperie. Era senza ombra di dubbio spennellato con cera fusa, e di un tessuto molto particolare… Questo capo di abbigliamento forse esiste ancora in qualche cantina nella bella cittadina, magari la nota sia di stimolo a qualche amico del posto per una ricerca.
Questa è una foto che trovo fantastica. Scattata ai primi del Novecento, ci mostra due pescatori chioggiotti con il loro costume tradizionale di lavoro. Probabilmente erano gli ultimi “gabani” (termine in lingua veneta per indicare il soprabito o cappotto) che giravano a Chioggia.
E’ probabile che, in occasione di una qualche festa patronale o di categoria, i due, a rappresentanza dei colleghi lo avessero indossato.
Sul capo hanno il caratteristico berretto di panno di lana di feltro cremisi, che troviamo sul capo di qualche popolano dalmatino o pescatore della laguna, nei quadri del Carnevarijs o del Canaletto. Anche questo copricapo è oggi facilmente reperibile in qualche negozio di “militaria”: il famoso fez dei bersaglieri né è la copia fedele.
Tornando a nostro “gabàn” lo troviamo pressoché identico addosso a un “galeotto” che si sta per imbarcare (la sua espressione non è delle più felici) in una nave a remi, per svolgere il suo duro lavoro, in una stampa di Cesare Vecellio. Siamo nel 1500.
Non solo, lo stesso cappotto lo descriverà uno studioso, il Barbarich, agli inizi del ‘900, quando parlerà delle uniformi dell’esercito veneziano a proposito dell’indumento da indossare dalle sentinelle durante la guardia, per ripararsi dalle intemperie. Era il sostituto del normale cappotto blu (ultima uniforme) troppo delicato per simile servizio.
galeotto, da “Abiti antichi e moderni” di Cesare Vecellio
Parlano i documenti di archivio di un “gaban” composto da tela grezza, robusta, chiamata di “Salonicchio”. Ne deduco che fosse un modello importato o copiato dalla marina bizantina, e che probabilmente le sue origini si perdessero addirittura nel Medio Evo.
Ringrazio nuovamente la signora Teresa Davanzo di Padova per la preziosa foto e collaborazione.
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