L’OSPEDALE DEI MENDICANTI:UN GRANDE ESEMPIO DI STATO SOCIALE
Di Millo Bozzolan
Accennare, sia pure per sommi capi, alla storia e alle funzioni dell’ospedale (degno della massima attenzione anche come opera architettonica, del resto) ci permetterà di apprezzare l’intervento dello stato veneto nel sociale. In particolare verso i più emarginati e bisognosi, quali mendicanti, orfani, vagabondi e bisognosi in genere.
La storia dell’ospedale inizia dove finisce quello di San Lazzaro, che curava i lebbrosi. chiuso perché aveva esaurito le sue funzioni, dato che la malattia era sparita, e perché troppo decentrato. Una inchiesta del Senato aveva poi trovato una cattiva amministrazione e sperperi del pubblico denaro. Nella zona delle “fondamenta nove” in un terreno da poco interrato grazie a delle nuove ‘rive’, si progettò il nuovo edificio dell’ospedale che avrebbe raccolto le rendite e le donazioni destinate al vecchio Lazzaretto.
A differenza degli altri ospedali, questo nasce con lo scopo preciso di controllo sociale in modo da assorbire una nuova e crescente marginalità di turbe dedicate altrimenti all’accattonaggio molesto, che dava un cattivo esempio e una pessima immagine, impedendo anche ai mendicanti “bisognosi”, quelli col patentino del governo, di ricevere l’elemosina.
Affidato ad un comitato composto da nobili e cittadini, l’istituto ebbe il compito di assistere quanti fossero malati di lebbra e altre malattia della pelle (esclusa la sifilide), e di ricoverare vecchi inabili e non autosufficienti, nonché mendicanti da riavviare al lavoro. Sorse anche una scuola di musica, che permetteva con gli introiti dei concerti e quelli ricavati dalle rette, di aiutare fanciulle povere e senza dote. Le funzioni diventavano anche mirabili concerti musicali, tanto che gli scranni si affittavano a caro prezzo.
Gli altri ricoverati erano impiegati in lavori interni, producevano cose artigianali che poi venivano vendute, alcuni eran collocati a servizio fuori. Gli ospedali veneti, a differenza degli ospedali francesi, che crearono il fenomeno del grande internamento, interagivano col tessuto urbano, economicamente e culturalmente. Essi furono un mirabile esempio di assistenza, in cui l’assistito contribuiva col suo lavoro ed impegno, al suo riscatto ed al suo reinserimento in società, riducendo nel contempo l’esborso dello stato e la necessitò dell’intervento dei privati attraverso le donazioni, che pure furono sempre copiose.
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