
Parliamo dell’uomo che fu il 107° Doge di Venezia. Definito il Doge per Antonomasia, visse tra il 1619 e il 1688. Analizziamo un momento il contesto prima di dedicarci alla sua biografia. Nella seconda metà del ‘600 Venezia è ricca e potente, ma i secoli d’oro sono passati e si deve spesso far carico di sconfitte militar in un crescente calo dei suoi commerci. La dignità e la solidità della Repubblica sono quelle di sempre,
il Giustiniani è un servitor fedele di questa realtà.
Nacque a Venezia da Pietro e Marina appartenente quest’ultima al ramo Giustinian detto “dei vescovi” per averne avuti tre in famiglia. Il padre invece, era chiamato “bueo de oro” avendo dichiarato notevoli fortune tra le quali la sua villa di Fiesso che viene ricordata dal Coronelli come “la notevole”.
La casata dei Giustiniani secondo i genealogisti, deriverebbe dagli imperatori Giustiniano e Giustino II e sarebbe arrivata a Venezia da Costantinopoli passando per l’Istria dove avrebbe fondato Giustinopoli, l’attuale città di Capodistria.
Marcantonio si dimostrò sempre molto umile e pio al punto da essere affettuosamente chiamato dai veneziani “San Zuanin”. Si dice anche che non avesse mai toccato una donna in vita sua e che sia morto ancora vergine.
Dopo aver completato gli studi a Padova frequentò varie Corti al seguito di ambasciatori Veneti. Nel frattempo si dedicò assiduamente alla filosofia, allo studio della legge e alla teologia. Un uomo dotto e pio, dunque che raggiunse ben presto cariche importanti tra le quali quelle di Provveditore alle Biade durante la guerra di Candia durante la quale scoprì le frodi dei fornai nell’impasto del pane facendolo esaminare chimicamente e questo con gran vantaggio pubblico.
Fu ambasciatore in Francia dove venne insignito della dignità di Cavaliere e grazie alla sua influenza, dalla Francia vennero organizzate alcune spedizioni militari in soccorso di Candia.
Ricoprì poi la carica di Consigliere Ducale, quella di membro dei X e quella di Inquisitore in Terraferma perdendo in quest’ultima la salute; al medico che lo rimproverava per gli strapazzi ebbe a dire:
“La nostra vita è dello Stato mentre la vostra appartiene alla famiglia”.
Alla morte di Alvise Contarini venne eletto Doge con tutti i 41 voti al primo scrutinio ma poco prima si era dimostrato riluttante nel considerare la propria elezione esprimendo il proposito di ritirarsi tra i monaci di San Giorgio. Forse una tale unanimità si giustifica con la necessità di avere come generalissimo nella guerra di Candia in corso un altro gigante della Veneta Republica, quel
Francesco Morosini che gli succederà come Doge.

La sua elezione fece scaturire numerose
manifestazioni di giubilo in città e, a testimonianza di ciò esiste, ancora leggibile, su un pilastro delle Procuratie Nuove, la scritta “Viva Marcantonio Giustinian”. Durante il primo discorso che tenne in Maggior Consiglio, disse che la sua “assuntione al Principato” era stata stravagante e singolare; curiosa osservazione di cui ancora si discute.
Poco dopo l’elezione un fulmine colpì l’iscrizione della Scala dei Giganti di Palazzo Ducale “Iustitia et pax deosculatae sunt” cancellando la parola “pax” e questo fu ritenuto un vaticinio dello scoppio della guerra contro i Turchi.
Iniziò quindi la conquista della Morea e per i successi ottenuti, dal Morosini in verità, fu un continuo succedersi di celebrazioni religiose al punto che stavolta si finì per soprannominarlo “El Doxe del Te Deum“. Alle feste religiose si accostavano anche molte feste civili con l’abbellimento della città con tappezzerie, figure, archi, colonnati, macchine, musici e luminarie.
A Castello si eressero macchine e colonnati molto fastosi e persino i Turchi presenti in città presero parte alla generale allegria! Ma più di tutti si distinsero gli Ebrei che ricoprirono il Ghetto Nuovo e il Vecchio di arazzi , damaschi a trine d’oro, quadri, specchi, macchine e lampadari; ogni finestra esibiva un tappeto o un damasco e per alcune notti consecutive su ogni balcone apparirono dei candelieri accesi con tale istantaneità da sbalordire.
Il Giustinian fu benvoluto e stimato anche dal Papa Innocenzo XI che alla sua elezione esclamò:” Dio volesse che fossero simili a lui gli altri sovrani della terra!” E quanto fosse caritatevole lo dimostra l’aver detto a uno della sua corte che aveva respinto un povero intrufolatosi a Palazzo: “non sai che la mia corte è la casa dei poveri?”
Con tutto ciò il popolo gli attribuì una carestia ch’ebbe a soffrire a causa della guerra così che ad un certo momento egli pensò di abdicare ma poi desistette perché gli fu fatto notare che era diventato Doge per volontà di Dio e che di sua volontà non vi poteva rinunciare.
Morì di male improvviso il 23 marzo del 1688 ordinando di venire seppellito a San Francesco della Vigna avvolto in un mantello e con un berretto, senza pompa. I fratelli misero di loro iniziativa nella cassa il corno ducale.