MERCURIO BUA, PERSONAGGIO PITTORESCO, AL SERVIZIO DI VENEZIA E IL SUO TRIONFO
Grazie a Dio, ho la storia veneta di cui occuparmi. Ho ripescato un altro brano che riguarda Mercurio Bua, capo stradioto, trevigiano acquisito, personaggio pittoresco e incredibile che divenne “veneto” per scelta, dopo aver servito gli imperiali. Se passate a Treviso, andate a visitare il suo mausoleo, costruito col marmo che lui aveva predato nelle sue scorrerie: altro che lo squallore di oggi. Ci racconta Paolo Pietta (cognome di origine stradiota) :

Monumento funebre a Bartolomeo d’Alviano, uno dei protagonisti dell’epoca, assieme a Mercurio, nella chiesa di S. Stefano a Venezia.
‘Gli stradioti, che si battevano così bene sul campo di battaglia, mantenevano pur sempre una fitta rete di legami familiari e di clan, e a volte questo destava l’irritazione dei loro committenti: anche a proposito di Mercurio e dei suoi uomini, si disse allora che agli stradioti veneziani “per esserli parenti, non li basta l’animo di ofenderli”.
Mercurio, infatti, pur essendo comandante prestigioso di truppe imperiali (all’epoca), aveva un fratello e un figlio di questi che combattevano nelle file veneziane. Il giovane, che si batteva con valore, ma non usava portare né scudo né corazza, rimase ucciso. Ma anche questi legami, e certo l’insistenza di Bartolomeo d’Alviano (comandante supremo dei veneziani) e certi concreti vantaggi finanziari, indussero alla fine Mercurio a cambiare ancora una volta bandiera.
Nel 1513 egli fece quindi ritorno nell’esercito veneziano, seguito da una modesta compagnia di appena 35 uomini. Negli anni che seguirono, egli svolse comunque un’intensa attività volta a “desviar” – questo era il termine tecnico – gli stradioti al servizio dell’Impero o della Francia, a cominciare, è naturale, dai suoi numerosi parenti.
I veneziani, sempre informatissimi e sfaccendati, accorsero in massa a vedere Mercurio che si recava in visita al doge, e poi “scendeva zoso per la scala de piera” e attraversava il cortile dei Giganti per raggiungere la barca che lo aspettava al ponte della Paglia. Sanudo lo descrive ” di bel aspeto, picolo”, vestito “a la francese con un saio d’oro e un zipon (giubba) damaschino negro, una bareta di veluto negra (si può scrivere??) in capo e una grande grossa colana coladena d’oro al collo”.
Anche in altre occasioni lo stesso cronista sottolinea la sua cura nel vestire, e anche, già nel 1514, la circostanza che egli comparisse a fianco dell’Alviano, vestito esattamente come lui (“di raso paonazo di martori”) il che, in base agli usi del tempo, va considerato un segno di favore di cui godeva presso quest’ultimo.
Nell’esercito veneziano, la posizione di Mercuzio sembra diversa da quella di altri capi stradioti. Non sembra infatti egli dipendesse dal provveditore degli stradioti; la sua sarebbe stata una normale condotta di cavalli leggeri, e questo privilegio appare tanto più significativo, in quanto i suoi uomini erano certamente stradioti albanesi, all’interno dell’ordinamento militare veneto molto conservatore.
Mercurio non deluse le aspettative veneziane: nello stesso 1513, in una scaramuccia presso Battaglia, egli fece prigioniero un giovane, incauto ma di nobilissima famiglia, Carvajal, che sarebbe poi morto in prigionia. “I suoi cavalli” – scrive Paruta – “non lasciavano cosa alcuna quieta ai nemici in tutto quel paese; erano per tutto, trattenevano le vettovaglie, ponevano in fuga i presidi, conducevano spesso nel campo molti dei nemici prigioni”.
In effetti, il ruolo degli stradioti fu valorizzato al massimo da Bartolomeo d’Alviano, che comandava i veneziani…
Da “Stradioti” di Paolo Petta, pagg 96-97.