Diamo spazio alla replica di Alessandro Mocellin, direttore de l’Accademia de £a £engua veneta. Il quale scrive:
Pubblichiamo con mezzi nostri a seguito di DENEGATA REPLICA da parte del Gazzettino. REPLICA ad articolo di A. Marzo Magno e L. Tomasin (Veneziano prof. di lingue romanze all’università di Losanna) sul Gazzettino del 17 marzo 2019.
Che esista la lingua veneta, lo state confermando anche voi. E non siete i soli.
(risposta del Direttore di Academia de ła Łengua Veneta)
Mi inoltrano un articolo di Alessandro Marzo Magno, che intervista il prof. Lorenzo Tomasin, con l’effetto di articolo scritto a quattro mani. A prima vista, a dire il vero, tra immagini risalenti e argomentazioni fotocopia, pareva un articolo di quattro o cinque anni fa, invece è del 17 marzo 2019. Rispondo con piacere.
Anzitutto, una buona notizia per tutti e per la lingua veneta è che essi affermano che per causa del veneziano il veneto si è linguisticamente unificato. Ma allora anch’essi sono d’accordo che il veneto è linguisticamente unitario. Altrimenti il veneziano non ha fatto un bel nulla. Anche il prof. Ferguson da essi citato conferma l’omogeneità interna del veneto (una koinè), come fanno anche i manuali di c.d. dialettologia, come il Grassi, Sobrero, Telmon del 2003. Cito dal manuale: “L’esempio più chiaro – e indiscusso – di koinè dialettale è quello del Veneto“.
Al prof. Lorenzo Tomasin, stimatissimo ricercatore e docente, rivolgo dunque una premessa e due punti. Premessa gnoseologica: la linguistica non è esente dalla logica, né dalla storia.
Primo punto, il ruolo del veneziano: ci spiegherà come mai i caratteri precipuamente veneziani tipo “famegia” sono totalmente assenti nella koinè veneta, dove tutti (tutti!) gli altri venetofoni continuano a dire, come hanno sempre fatto, “fameia“, persino in Istria. Lo invito poi ad inquadrare anche la seguente certezza documentale: pure a Venezia, almeno fino al Cinquecento, si scriveva “fameia“, come anche “voia“. Ne sono esempi il trecentesco Milione veneto, trattati col Turco, poesie di Andrea Calmo, di Maffio Venier, etc.
In altre parole, se come egli dice il modello fu veramente il veneziano, e se tutti i Veneti gettarono la loro varietà per aderire al veneziano, perché questi fenomeni nati a Venezia lì sono rimasti? Evidentemente la koineizzazione non fu a senso unico, e le eccentricità veneziane sono escluse dalla koinè, tanto quanto le eccentricità del veronese “ci elo ci“.
Secondo punto, la sua visione glottologica è incompatibile con la storia veneta e rivela una impronta storiografica marcata ed aliena, replicando la connotazione giacobina e francese del termine “Dominante”, quella preferita proprio da coloro che Venezia la volevano morta. Riconosca che nemmeno in campo giuridico vi fu un soppiantamento degli ordinamenti precedenti quando Vicenza o Treviso o Verona o Feltre o il Cadore aderirono allo Stato Veneto. Ciò dovrebbe suggerire una necessaria rivisitazione delle credenze anche in campo linguistico. La funzione di Venezia fu aggregante e mai sostitutiva: questo il suo grande merito, questo il portato di tremila anni di Civiltà Veneta. E si ricordi che “Venetiae” non fu una città, ma una confederazione di comunità. Infine, visto che Marzo Magno che scrive di Storia non gliel’ha fatto osservare, dico a Tomasin che affermare che “veneto” sia un termine inventato per fare la Regione Veneto è assai poco conferente alla sua professionalità e decisamente incompatibile con studi pur minimi di Storia, antica, medievale o moderna che sia.
Trovandoci oggi in vista del 2° Convegno Internazionale sulla Lingua Veneta, che si terrà sabato 30 marzo ad Arzignano, non possiamo che invitare entrambi i sopraddetti a partecipare. Avranno un posto riservato a loro nome e potranno interloquire con docenti universitari da tutto il mondo, compreso il primo linguista dell’UNESCO.
In conclusione, al giornalista Alessandro Marzo Magno chiedo invece una sola cosa, ed è invero un consiglio: egli è convinto che il vero veneto, quello da insegnare e divulgare, sia il veneziano, il suo veneziano. Sappia che non gli crederà nessuno finché non comincerà a scrivere gli articoli e a fare le interviste in veneziano. Ovviamente, lo stesso vale per Tomasin, il quale dovrebbe da par suo tenere dei corsi, universitari ovviamente.
Replica inviata al Gazzettino il 17 marzo 2019 alle ore 14.26.
dott. Alessandro Mocellin, Direttore Academia de ła Łengua Veneta
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