PADOVA VENETA CHE SCONFIGGE MASSIMILIANO II
Sono da poco passati 500 anni dalla sconfitta sotto le mura di Padova dell’armata imperiale, un’epopea incredibile quanto poco conosciuta, che mise in evidenza quanto ormai Venezia potesse contare su un vero stato. A Padova accorsero in sua difesa anche molti contadini, al grido di “Marco, Marco!” si batterono come leoni sotto il comando di Andrea Gritti. Si è vista mai una “oligarchia” difesa fino alla morte dalle classi più umili come accadde durante la guerra di Cambrai e poi nei tristi giorni della fine? Vi riporto qualche brano dell’intervista a uno storico, Angiolo Lenci, che ha descritto l’assedio nel libro “Il Leone, l’Aquila, la Gatta.”
Gli assedianti dileggiavano i padovani per via di un Leone mal riuscito, chiamandolo “gatta”, ancora presente, allora posto sul bastione Codalunga (Coalonga) e i padovani per irrisione dipinsero una gatta su un drappo fissandolo a una alabarda, invitando i nemici a venirla a prendere… Massimiliano mise addirittura un premio di 100 scudi a chi fosse riuscito nell’impresa.
PADOVA.La rincorsa tra armi d’offesa e armi di difesa è un filo rosso che attraversa tutta la storia umana: ti inventano la daga e la striscia per penetrare le giunture dalla corazza alle ascelle e all’inguine, l’«istrice» degli svizzeri con picche lunghe cinque metri riesce a fermare un attacco di cavalleria con destrieri che pesano una tonnellata e sono feroci come tigri, l’assedio di Padova del 1509 che fa centro sul bastione della Gatta in Coalonga, considerato dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo l’anello debole della difesa veneziana, dimostra invece la superiorità dei terrapieni padovani in grado di resistere alle bombarde imperiali: 10 mila proiettili sono sparati nelle ultime due settimane d’assedio. Ognuno pesava 60 chili e la cadenza di un colpo al minuto era per l’epoca sbalorditiva. Ma la città resiste.
La vittoria veneta sulla lega tedesca è anche una netta virata nella storia del dominio veneziano che, dopo Agnadello (Venezia, secondo il Machiavelli, perse in quella battaglia ciò che aveva guadagnato in 800 anni di storia) rinuncia ad ogni politica di conquista e fortifica le città esterne, per cui Padova e Treviso diventano gli antemurali della difesa della Serenissima.
Angiolo Lenci, storico delle armi, nel suo libro Il leone, l’aquila e la gatta descrive minutamente il memorabile assedio dell’imperatore che è il cuore, l’atto principale dell’attacco dei coalizzati della Lega di Cambrai a Venezia e riscatta con una vittoria sonante la disfatta di Agnadello, consentendo al leone di San Marco di sopravvivere.Ma quali erano le forze in campo?
«Il nerbo dell’esercito imperiale erano i tedeschi di Massimiliano, slançeman, lanzichenecchi. La canzone sfottente degli assediati, proibita da Venezia perché l’imperatore, pur nemico, non poteva essere insultato è ‘O bella ciao” rovesciata, cioé una mattina mi son svegliato e il lanzichenecco era fuggito (Gi è partù qui slançeman). I crucchi avevano portato da Innsbruck le immense bombarde, orgoglio di Massimiliano seguendo la Valsugana e il Garda…»
Ma che cavolo di lingua parlavamo nel Cinquecento…
Questo è niente, pensi al Ruzante. Oltre ai tedeschi da parte imperiale c’erano i francesi, celebri cavalieri e forti combattenti, come Bertrand de La Palice (quello che ha ispirato Catalano di Arbore), di cui si disse che 5 minuti prima di morire era ancora vivo e il Baiardo, un patito delle armi bianche che alla fine viene ucciso da un colpo d’archibugio. Ferrara si era schierata con i tedeschi fomentando un odio furibondo. Ma c’erano addirittura in città fermenti di guerra civile perché un buon numero di padovani anche insigni era decisamente anti-veneziano, i Buzzacarini, per esempio, imparentati con i Carraresi, presero le parti dell’Asburgo. Per Padova combattevano i veneziani, tanti, un nobiluomo su dieci della Serenissima partecipò alla battaglia, ma più con funzioni di controllo dei patavini inquieti che in prima linea. Poi i mercenari, gli stradioti detti anche cappelletti, venivano dall’Albania e dall’Epiro.La parola greca stradiotes vuol dire soldato. Questi erano specialisti in imboscate, provetti nella guerriglia, montavano piccoli, focosi cavalli. Difficili da controllare non facevano prigionieri ed erano stupratori inpenitenti (non solo, anche tagliatori di teste). Li sorvegliava e dirigeva un commissario veneziano.
Venezia in questa guerra aveva capillarizzato il controllo nominando più di 30 commissari. Combattevano per Padova i fanti di Brisighella, divisa bianca e rossa, grande mobilità e anche qui poca disciplina e molta ferocia. L’Orsini e Citolo da Perugia, però, erano abili strateghi e permaneva l’impostazione fatta di audacia e di inflessibile governo dei combattenti di Bartolomeo D’Alviano, in quel frangente prigioniero ma che riprenderà il bastone di comando nelle battaglie successive».
Insomma una grande varietà di etnie e di nazioni anche tra coloro che andavano all’assalto gridando «Marco, Marco».
L’intervista intera che consiglio caldamente di leggere, la troverete qui: il mattino di Padova, archivio