POCO PRATICATA PER I LESTOFANTI DA VENEZIA la presunzione di innocenza
Di Edoardo Rubini
Quanto alla presunzione di innocenza, nessuno al mondo la conobbe prima che fosse teorizzata da Cesare Beccaria. È un’innovazione meno intelligente di quanto venga decantata all’università o dai mass media, perché presenta il grave svantaggio di porre tutti gli imputati sul medesimo piano, come fossero tutti innocui (e così non è), in omaggio all’altro famoso dogma illuminista della “uguaglianza” di tutti gli esseri umani. Gli esseri umani hanno invece ciascuno una propria singolarità, non sono mai uguali (piuttosto la Civiltà Cattolica insegnava la pari dignità degli uomini: questo principio era sempre valido nella Repubblica Veneta, che riconosceva la parità degli individui davanti alla Legge).
Nella Repubblica Veneta non vigeva dunque la presunzione di innocenza, ma non vigeva neanche la presunzione di colpevolezza: in astratto non si presumeva un bel niente. Su chi gravavano lievi accuse, oppure indizi labili (“remoti” si diceva allora) non era disposto il tormento della corda, mentre i pericolosi farabutti, che avevano dato scandalo, non erano trattati con troppi riguardi perché sarebbero tornati a delinquere o a minacciare le loro vittime, quindi subivano il trattamento necessario a indurli a collaborare con la Giustizia. Non si capisce perché non debba essere più così.
http://www.ibs.it/code/9788864950754/rubini-edoardo/giustizia-veneta.html
L’abolizione della tortura come mezzo istruttorio (e non come pena, che è un altro discorso) è senz’altro la maggior gloria di Cesare Beccaria. Tuttavia, anche in questo campo, la procedura usata dalla Veneta Serenissima Repubblica era abbastanza garantista: si davano tre gradi della “corda” (che era l’unico strumento consenti per dare il “tormento”, come si diceva allora). Il primo grado era far spogliare l’inquisito al buio della sala adibita a questa pratica e farlo legare. Il secondo era tenerlo appeso legato per max un’ora. Il terzo grado, lo si buttava giù da un paio di metri. C’era sempre un medico a controllare la salurte dell’interrogato. Quasi tutti i rei (imputati) al primo grado erano già spaventati a morte e cominciavano a parlare. Dovevano rispondere alle domande, quindi di regola il “tormento” finiva lì. Però quanto dichiarato doveva formare oggetto di interrogatorio in udienza sennò non formava elemento di prova. Tutto questo si legge dentro questo libro, nei dettagli. La domanda che ci si può far oggi è questa: Cesare Beccaria, fu vera gloria?