SAN MARCO FEDERALISTA, ECCO COME FUNZIONAVA
Giuseppe Gullino, grande e apprezzato storico della repubblica di Venezia, ci spiega in questo brano come tante comunità, così diverse, potevano integrarsi tra di loro e con lo stato veneto, che era il garante della libertà comune. Se penso che nella “democratica” Italia, un minimo di autonomia del Veneto viene visto come un attentato all’unità dello stato, mi vien da ridere (o da piangere).
Uno dei segreti del successo di Venezia era il decentramento amministrativo per cui tanti piccoli mondi convivevano entro un’unica unità superiore. Si innescavano in tal modo dei meccanismi difensivi, che rendevano elastico il rapporto stato-società.
A Palazzo Ducale il Senato governava, ma non amministrava. L’amministrazione, infatti, era affidata alle forze locali; nel Padovano, ad esempio, Camposampiero, Monselice e Montagnana avevano i loro statuti. le loro magistrature, persino i loro pesi e misure, così come la stessa Padova, o Treviso, Pordenone, Belluno e Vicenza. Il governo centrale si limitava a mandarvi uno o due rettori che amministravano la giustizia e provvedevano alle milizie incaricate di riscuotere dazi e badare alla difesa esterna.
Inoltre, all’interno delle singole comunità vi erano ulteriori forme di autogoverno, facenti capo alle corporazioni di arti e mestieri, (ognuna con un proprio gastaldo ossia presidente; con propri organi elettivi, detti “banca”, propri regolamenti, e alle scuole e confraternite assistenziali, queste ultime numerosissime.
A Venezia, ad esempio, gli Arsenalotti – o lavoranti dell’Arsenale che nel ‘500 fu probabilmente il maggior organismo industriale dell’Europa, con circa 4.000 addetti-; gli arsenalotti, dicevo, si autogovernavano, disponendo i loro turni di lavoro, le paghe, le carriere, assegnando le case messe loro disposizione dallo Stato ( ci sono ancora e meritano di essere viste, sulle fondamenta che circonda l’Arsenale, con scritto sugli stipiti Capo mistro alli foghi, Capo mistro alle vele), provvedendo ai turni della cassa integrazione,; avevano persino una loro moneta al loro interno.
Si autoreggeva anche l’università a Padova, con gli studenti che si dividevano in varie “nazioni” legalmente riconosciute; quella alemanna, inglese, polacca, con larghe autonomie e diritto di extraterritorialità.
Gli esempi potrebbero continuare: si pensi ai ghetti degli Ebrei, ai fondaci dei Tedeschi, dei Turchi, dei Persiani, degli Armeni; alle scuole dei Greci, degli Albanesi, degli Schiavoni, dei Lucchesi, dei Lombardi, ecc… Ancora mi emoziono, quando mi capita di trovare, in qualche fondo archivistico, delle ‘Terminazioni’ (Decreti) del Senato redatte in italiano e croato, o in italiano ed albanese o italiano e greco, con il foglio diviso verticalmente a metà e sormontato dal leone marciano.
Così scrive Giuseppe Gullino, e mi vien da pensare a Roma che redige leggi e regolamenti in italiano.. e in veneto. E capisco quanto sia una realtà oppressiva ed irriformabile lo stato che ci tiene in pugno dal 1866.
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Fantastico !!!