Un grande Veneto, Antonio Canova. “Mi no odio nissun” rispose ai francesi.
qui in Antonio Canova. Autoritratto, 1792. Firenze. Galleria degli Uffizi.
IAntonio Canova (1757- 1822) è sicuramente uno degli scultori più famosi di ogni tempo e un vanto sia per Possagno che gli diede i natali, sia per la città di Venezia, che vide i suoi esordi.
A quattro anni perse il padre, la madre pensò di risposarsi, andando a vivere fuori dal paese, Antonio rimase affidato al nonno, tagliapietre e scalpellino, da cui apprese il mestiere. Seguiva una naturale inclinazione alla scultura eseguendo piccole opere con l’argilla. Si racconta che, all’età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale maestria che i cuochi lo misero come trofeo su una pietanza. Tali furono lo stupore e l’ammirazione degli invitati e del padrone di casa, il senatore Giovanni Falier, che questi, intuendo le attitudini artistiche di Antonio Canova volle avviarlo allo studio e alla formazione professionale.A undici anni Canova iniziò a lavorare a vicino a Possagno, nello studio di scultura Torretti. Quell’ambiente gli insegnamenti fecero crescere artisticamente il piccolo Tonin. Tramite i suoi maestri Canova venne introdotto nel prestigioso mondo veneziano, ricco di fermenti artistici e culturali. A Venezia studiò anche il disegno, frequentando la scuola di nudo dell’Accademia. A Venezia ottenne subito varie commissioni e ampi riconoscimenti. Alla fiera della Sensa del 1779 espose il gruppo Dedalo e Icaro, in cui raffigurava se stesso con il nonno Pasino che lo aveva cresciuto.
In seguito decise di recarsi a Roma, ospite dell’ambasciatore e mecenate veneto Zulian. Studiò l’archeologia, la statuaria antica e frequentò la scuola di nudo dell’Accademia di Francia. Diventò in breve tempo un artista acclamato, negli anni successivi lavorò per papi, sovrani, imperatori e principi di tutto il mondo. Nelle sue sculture amava adoperare il marmo bianco rendeva armonioso modellandolo con tale plasticità finezza e leggerezza che le sue figure sembravano avere un proprio movimento, nella loro immobilità.
Un’altra caratteristica particolare del suo talento era la raffinata levigatura delle opere, grazie alla quale i suoi lavori avevano una stupefacente lucentezza che accentuava la naturale e radiosa di purezza, Secondo i canoni del classicismo, erano la rappresentazione della bellezza idealizzata, eterna e universale.
Anche i disegni erano molto ricercati dai collezionisti, rivelavano un artista completo e intuizioni artistiche già moderne. Grande influenza su Canova avevano le letture dei classici della mitologia greca, se li faceva leggere mentre lavorava, soprattutto le opere di Omero. Era un grande lavoratore, capace di restare nella sua bottega anche 14 ore di seguito, anche a causa dell’uso del trapano la sua salute venne compromessa.
Pur lavorando spesso lontano, mantenne sempre intensi legami col paese natale e con Venezia, le cui sorti gli stavano molto a cuore. Nell’aprile 1797, negli ultimi giorni della Repubblica, scriveva a un amico: “Sarei contento di perder volentieri qualunque cosa, anzi la vita stessa, purché potessi in siffatto modo giovare alla mia adorabile patria, che tale la chiamerò sino a che mi resterà ombra di respiro”.
Il Senato veneziano gli aveva assegnato una pensione, riconoscimento per alcuni monumenti funerari tra cui quello di Angelo Emo. Nel 1797 la nuova repubblica democratica di gliela sospese e nonostante l’ammirazione, Bonaparte non la restituì mai. Gli austriaci, subentrati ai francesi, anche loro grandissimi estimatori di Canova, si offrirono di ripristinarla a patto che lo scultore accettasse di passare a Vienna almeno 6 mesi ogni anno, ma la proposta venne rifiutata.
Nel febbraio del 1798 i francesi occuparono Roma e vi instaurarono la Repubblica democratica, mandando in esilio il papa Pio VI. I nuovi governanti tributarono onori al Canova e lo chiamarono a far parte dell’Institut National. Durante la cerimonia d’insediamento, gli fu chiesto di giurare odio ai sovrani ma egli si rifiutò dicendo: “Mi non odio nissun”. La frase rivela un animo mite ma anche il sentimento cristiano che lo animava. Lasciò Roma e preferì ritirarsi a Possagno per un lungo periodo. Nel 1802 Napoleone, allora primo console, lo chiamò a Parigi perché gli facesse un ritratto. Canova, memore di chi era stato il carnefice della Repubblica veneta, dapprima rifiutò, poi le pressioni di molte autorevoli personalità lo convinsero ad accettare. Ma Napoleone, che non gradì il modo in cui Canova lo aveva rappresentato, completamente nudo e in atteggiamento troppo poco marziale, rifiutò l’opera. I maligni pensano che sia stato anche per il complesso della bassa statura e delle ridotte dimensioni della foglia di fico. Sicuramente l’imperatore apprezzò poco il piccolo globo posto nella mano destra, che più della Terra ricordava un pomo di Paride.
Dopo la caduta di Napoleone si adoperò in ogni modo che gli fu possibile per far rientrare le opere d’arte che erano state trafugate in Francia. Dobbiamo a lui e al prestigio di cui godeva, se molti capolavori, tra cui i cavalli di San Marco, non sono tuttora esposti a Parigi..
Nel 1819 a Possagno posò la prima pietra di una nuova chiesa a cui destinato una ingente somma. Nel luglio del 1821 rimpatriò per controllare la costruzione che e per curare i disturbi di stomaco, di cui soffriva da tempo. La pressione del trapano sullo sterno gli aveva procurato una deformazione con successiva stenosi dello stomaco, che aveva compromesso le funzioni digestive. Sperava che il clima favorevole, la cura delle acque di Recoaro, e l’affetto di parenti e amici giovassero alla sua salute. Ma durante una visita a un amico a Venezia ebbe un aggravamento, fino alla morte, il 13 ottobre
Venezia era in quei giorni percorsa da fermenti antiaustriaci, perciò le autorità imposero un funerale solo religioso e senza discorsi celebrativi, per evitare che la cerimonia funebre si trasformasse in una manifestazione patriottica.Dopo le esequie nella basilica di San Marco, sfidando i divieti la bara fu portata nell’aula magna dell’Accademia, dove il presidente Cicognara tenne una orazione funebre.
La straordinaria fama internazionale goduta in vita da Canova divenne venerazione dopo la morte (1822) in particolarmente a Venezia , dove i suoi allievi vollero erigere un monumento nella chiesa dei Frari, francamente poco adatto alla trecentesca basilica,dove venne posto il cuore, mentre la sua mano destra (prelevata dalla salma e posta sotto spirito) venne conservata per molti anni come una reliquia all’ Accademia di Belle Arti. Il 13 ottobre 2008, nel giorno anniversario della morte e in concomitanza con la chiusura delle manifestazioni per il 250º anniversario della nascita, la mano dell’artista è stata opportunamente ricongiunta ai resti di Canova nel Tempio di Possagno.