CHIARA VAROTARI, UN’ARTISTA PADOVANA
di Simonetta Dondi dall'Orologio
Il dominio veneziano su Padova comincia nel 1405 fino alla caduta nel 1797, anche se perse importanza politica, la città godette di pace e prosperità assicurate dalla Serenissima.
Viene garantita grande libertà alla sua Università, che richiama studenti ed insegnanti da tutta Europa, soprattutto dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Polonia.
Venezia, vigorosa e splendente nel Cinquecento, vive nel Seicento il tramonto dei sogni di conquista, dopo alcune guerre sfortunate e inizia un lento declino, che coinvolge l’economia e la finanza, le strutture di governo e l’aristocrazia che queste regge.
Dal punto di vista culturale rimane vivace ed è uno dei centri europei che più contribuisce, con Galileo Galilei, con Paolo Sarpi, con i loro discepoli e ammiratori, alla rivoluzione scientifica del tempo.
Dal punto di vista religioso è intensamente pervasa da fermenti di rinnovamento e legata a una visione laica della società.
L’arte rispecchia la tensione verso il nuovo e l’emergere di una ricca borghesia.
Il Barocco veneziano è peculiare, arricchito da ornamenti esuberanti e rigogliosi, ama rappresentarsi e celebrarsi fastosamente.
Chiara Varotari nasce a Padova nel 1584, figlia di Dario Varotari il Vecchio, pittore ed architetto e di Samaritana Ponchino (figlia del pittore GianBattista Ponchino).
Secondo il Ridolfi (autore di Le Meraviglie dell’arte-1648) i Varotari sono originari della Germania, trasferitisi poi a Verona, dove nel 1539 sarebbe nato Dario, che ritroviamo poi a Padova nel periodo della maturità.
Chiara è sorella maggiore di Alessandro, pittore noto come il Padovanino (1588-1649), considerato un valente seguace di Tiziano.
Apprende l’arte dai familiari e lavora come assistente di bottega.
Nel 1598 muore il padre.
Il fratello viene educato da Damiano Mazza, accreditato interprete del tizianismo a Padova e in giovane età sostituisce il padre in “bottega”.
Nel 1614 Chiara si trasferisce a Venezia con il fratello, spostandosi ogni tanto per qualche committenza.
Vive a lungo a Venezia, dove trova un ambiente culturale vivace e aperto, tanto che nel 1625 vi fonda una scuola d’arte.
Chiara sente vivamente le problematiche legate alle differenze di genere, tanto che scrive un trattato dal titolo “Apologia del sesso femminile”, in cui difende i diritti delle donne.
Si specializza nei ritratti, che si caratterizzano per la cura dei dettagli e una superficiale attenzione agli aspetti psicologici dei soggetti, secondo lo stile dell’epoca.
Il suo stile è preciso, pignolo.
Rappresenta l’immagine di una borghesia ricca, ansiosa di celebrarsi nei propri fasti e nel raggiunto prestigio sociale e di una nobiltà che difende i propri privilegi con alterigia.
La data esatta della morte è sconosciuta, ma in genere collocata nel 1664.
Un suo autoritratto, insieme ad altre opere, è esposto al Museo d’Arte Medievale e Moderna di Padova.
Il dipinto che appare nell’ultima immagine è conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze e non nel museo di Padova. Inoltre, non è affatto un’opera di Chiara Varotari. Il dipinto in questione veniva attribuito, è vero, alla Varotari negli inventari tardo settecenteschi, ma oggi è unanimemente e giustamente assegnato dalla critica al pittore toscano Giovanni Martinelli e rappresenta l’Allegoria della pittura.