VENEZIA E “LA CACCIA ALLE STREGHE”. Il prete che eguagliava Rocco Siffredi.
Il governo veneto cercò in tutti i modi di frenare la Santa Inquisizione nei suoi Domini. Scrive Lara Pavanetto a proposito di una ennesima caccia alle streghe scatenata dagli Inquisitori in Val Camaonica:
“Visto che la condanna di eresia comportava la confisca dei beni dell’imputato da parte della Chiesa, qualche sospetto di irregolarità poteva anche nascere. Per cui il Consiglio dei X (Dieci) si intromise molto probabilmente anche per controllare o limitare l’operato del Sant’Ufficio, non solo per quanto riguardava gli esiti economici deo processi, ma anche per il comportamento dei Giudici. Già il 14 luglio 1518 infatti, era giunta notizia che erano state bruciate una settantina di streghe …
Venezia nutriva forti sul modo con cui i processi erano stati formulati e sulla tortura come mezzo di prova e alcuni si chiedevano se i fatti fossero veri o non piuttosto illusioni. Il Legato Pontificio cercò di convincere il Collegio della verità fisica della stregoneria,, e il 25 dicembre 1518 portò di fronte ai capi un prete reo confesso: Pre’ Betìn.
Il Doge e i Consiglieri ducali poterono rivolgergli molte domande, dopo averlo ascoltato raccontare i suoi viaggi al sabba sul monte Tonale: Et leto la sua deposition, prima fu fato venir dentro, qual public (pubblicamente) a viva voce, disse esser stato a Monte Tonal per causa di aver una sua morosa lì di Valcamonica, chiamata Comina, la qual con la polvere butata adosso, l’ebe (la possedette) et ne havea un’altra che quel signor di Monte Tonal li dete per morosa, nominata Biancha Maria, con la qual la prima voltà (dopo averla girata) usò tre volte: una in vaso debito (nella vagina) e dò in ano. “
N.d.R. Immaginiamo i sorrisetti sotto i baffi dei consiglieri e del doge, sentendo delle inverosimili performances erotiche di quel povero prete Betìn, degne di un Rocco Siffredi dei nostri giorni, costretto a inventarsi tutto, con le torture minacciate e praticate dagli inquisitori di “Santa” Romana Chiesa. Tempi terribili, e fu un vanto di Venezia non aver mai consentito, almeno nella capitale, nessun rogo di qualche povera disgraziata, accusata di stregoneria dall’inquisizione romana. Anche in seguito a fatti come questi, l’Inquisizione fu sempre più imbrigliata nei sui poteri a ai sui giudici furono affiancati magistrati veneti che potevano bloccare il suo operato.
cit. da “Maghi e alchimisti ai tempi dei Dogi” di Lara Pavanetto.