Quando scrissi la nota, avevamo appena passato il solstizio invernale.
Abbiamo appena passato il solstizio invernale, per cui non mi sembra male parlare del culto del Sole, che si esprimeva in questo periodo con falò accesi nella campagne (oggi come allora) e sulle montagne, ma anche con una iconografia che rappresentava il Sole, presente sull’abbigliamento e sui monili. Ne parla Piero Favero, nel suo “enciclopedico” lavoro “L’alba dei Veneti” ed. Cierre costo euro 16.
Questo culto, ci spiega l’Autore, era comune nelle popolazioni indo europee, dall’Europa, all’Anatolia, fino in Danimarca dove a Egved, si sono trovati i resti di una ragazza dell’età del Bronzo La ragazza non era del luogo, ma arrivava lontano, dall’isola nbaltica di Bornholn o dalla Germania meridionale. Questo ci dice l’analisi degli isotopi di stronzio, ricavati dalle vesti rimaste intatte.
La sua cintura con disco del IV secolo a.C. , all’alba della civiltà di Lusazia, ha lo stesso simbolismo della cintura solare delle sacerdotesse venete ed indica un’origine nordica della tipica cintura bronzea indossata con sfarzo dalle donne e sacerdotesse venete.
Nella visione magico solare dell’epoca, l’addome femminile è come il Sole, fonte di vita e procreazione, corrispondente al “plesso solare” i cui nervi si diramano a raggiera, seguendo i rami dell’arteria celiaca che irrora di sangue gli organi dell’addome superiore.
Affascinante, no? Piero Favero è anche medico, possiamo fidarci di lui 🙂 . Ecco perché questi magnifici cinturoni sbalzati erano indossati solo da donne venete, e mai da uomini.
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