Repubblica e Principato
La singolarità dello Stato Veneto era quella di non essere un Principato nel senso corrente del termine. Non mancano però del tutto nella vita europea casi almeno in parte simili a quello della Serenissima.
Il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, che può essere considerato per un certo periodo come capo di uno Stato, era alla testa di un ordine militare e non di una comunità socialmente articolata.
Più simile sembra l’autorità del Pontefice romano, eletto come il doge nella segretezza di un conclave, lasciato in carica a vita e sottoposto, almeno in una determinata fase, alla suprema autorità del Concilio. La parziale analogia può essere ammessa solo alla condizione di specificare che il papa si afferma capo di una società spirituale e il doge di un corpo politico puramente terrestre. Il pontefice infatti si appellava ad una rivelazione per esercitare il suo magistero e a un mandato divino per guidare i suoi fedeli. Al di sopra dei membri della chiesa e del papa stavano le Scritture e le diverse personificazioni soprannaturali, dalla divinità ai santi e agli angeli.
Al di sopra di qualsiasi membro dell’articolata comunità veneziana vi era l’interesse collettivo, concepito e realizzato in modo da conciliare, subordinandoli, i membri del vasto gruppo patrizio ad altri gruppi e ceti della città.
Questo senso dello Stato non trova nessuna effettiva corrispondenza negli altri organismi politici del Basso Medioevo o dell’epoca moderna e costituisce il carattere veramente singolare della Repubblica Veneta. Esso non era materiato dalla fedeltà ad un monarca, dall’appartenenza ad una etnia, ad una cultura o ad una fede (anche se fortissime venature del genere pur sussistettero nella compagine veneziana).
Esso fu piuttosto costituito dalla determinazione di un governo di mantenersi inalterato nel tempo e di vegliare alla costante ed effettiva partecipazione di tutti alla sua prosperità e alla sua sicurezza. Tutti erano necessariamente coinvolti in questo processo quotidiano di salvaguardia dinamica dello Stato e colui che era posto al vertice dei suoi organi non solo doveva uniformarvisi ma contribuirvi attivamente nell’ambito attribuitogli.
Politicamente, cioè, il Doge non si poteva permettere nulla di più di un qualsiasi nobile o cittadino e perciò il Priuli ha affermato:”S’el Principe volesse far cossa contraria a la Republica non li saria soportato, ma del resto veramente in minimis puol fare quelo li piaze, purché la cossa non excieda lo honore et il decoro del Statto“.
È lo Stato quindi che vigila su ogni movimento di quanti lo compongono e il Doge ne è parte integrante.
Quando si annunciava al Collegio la morte del Serenissimo, gli si rispondeva, senza alzarsi, ne scoprirsi il capo che occorreva occuparsi di eleggerne un altro e i gentiluomini che venivano designati a vegliarne la salma nella sala del Piovego di Palazzo Ducale dovevano andar vestiti di scarlatto in segno di: “Si è morto il Doxe , non è morta la Signoria, non è morta la Repubblica“.
E’ quindi necessario sottolineare la grandiosità della visione dello Stato, tenendo conto delle coeve lotte, in quasi tutte le città d’Europa, per accaparrare il potere, inteso come personale o famigliare, da parte di questa o quella fazione.
Lib. tratto da: “Dogi di Venezia” A. Tenenti
Foto dal web. F. Bassano: il Doge sul punto di salpare con la flotta contro il Barbarossa riceve dal Papa la spada benedetta