IL MICRONAZIONALISMO FURLAN (DIVIDE ET IMPERA)
Di Marco D’Aviano.
Una riflessione in questa occasione merita la vicenda del micro-nazionalismo friulano.
Per capirne il senso, bisogna risalire al progetto di dissoluzione della grande esperienza cristiana e politica vissuta nella Veneta Serenissima Repubblica.
Tanti sono stati i passi di questo progetto di distruzione. La pulizia etnica di Venezia, la lottizzazione dell’Università di Padova tra una facoltà di Giurisprudenza (affidata alla destra) e una facoltà di Scienze Politiche (affidata alla sinistra), la falsificazione sistematica della storia della Serenissima, presentata come dominazione veneziana, laddove si trattò di una delle rare esperienze di democrazia compiuta della storia dell’umanità.
Ciò ha richiesto un ideale completamento nella diffusione di altre ideologie assurde, anti-venete ed anti-cristiane. Così nel dopoguerra, quando per evitare accuratamente il riemergere dell’unità e dell’autonomia delle genti vissute felicemente insieme sotto l’ala protettiva di San Marco, si scelse di smembrare i territori dell’antica Repubblica: perse ormai Istria e Dalmazia, la Costituzione disegnò regioni-microbo, che non sarebbero mai state in grado di autogovernarsi (a imitazione dei lander tedeschi).
Il Veneto che era stato sovrano per 14 secoli, lo si ridusse in una condizione servile, come vacca che doveva macinare il più possibile per essere munta fino all’ultima stilla.
Così si decise di circondarlo da regioni autonome, per affermare meglio il potere coloniale al suo interno. Non paghi, ecco uno dei capolavori del sistema: il micro-nazionalismo friulano.
I suoi connotati sono: la difesa ad oltranza della lingua friulana (lingua per legge, mentre il Veneto è dialetto per legge), l’esaltazione del Patriarcato di Aquileia come modello di buon governo contrapposto a Venezia (dimenticandosi che si trattava del classico esempio di Vescovo-conte sotto controllo imperiale, cosa un po’ strana per micro-nazionalisti di sinistra che si ispiravano al marxismo e al laicismo).
Un bel esempio è fornito da Tito Maniacco, consigliere comunale per il PCI a Udine dal 1970 al 1985, amico di Pierpaolo Pasolini, scomparso tre anni fa. La sua Storia del Friuli, edita dalla Newton Compton a Roma nel 1985 è stata scritta secondo l’inevitabile schema della lotta di classe, addirittura citando Marx di continuo, che si dedicò infatti allo studio della storia veneta con grande accanimento.
Questa storia, infatti, smentiva le sue teorie, testimoniando la grande solidarietà interclassista che si era creata intorno ad un governo aristocratico e confessionale. La Tradizione teneva la società unita ed era il presidio della Giustizia. Maniacco parla diffusamente delle rivolte contadine in Friuli, sembra lotta di classe, ma… quando si viene al dunque, si scopre nel suo stesso libro che i contadini friulani si sollevavano a difesa della Repubblica Veneta!
Ah, le rivolte, le famose insurrezioni contro gli abusi dei feudatari locali fatte passare per sommosse antiveneziane! Venezia sarebbe stata forse ricordata con più nostalgia se avesse imposto dall’alto i propri ordinamenti, se avesse rinunciato al proprio ruolo di arbitro tra i diversi ceti sociali cui era affidato il governo delle comunità di terraferma come d’oltremare per annichilire in un delirio accentratore che fu poi della Cisalpina e del regno italico la memoria storica e giuridica delle proprie province, se ne avesse disconosciuto l’eredità culturale antecedente gli atti di dedizione, fosse questa di stampo feudale o comunale indifferentemente. E’ per certi versi paradossale che le venga poi rinfacciato di non aver saputo o voluto imporre al proprio dominio quella coesione liberticida che avrebbe in breve trasformato l’antico suddito in contribuente e carne da cannone e che tali voci si rincorrano proprio di questi tempi in cui con maggiore evidenza possiamo riscontrare le conseguenze di una cultura di governo a noi così familiare. E’ vero però che la facoltà di amministrare le proprie risorse, e di scrivere le proprie leggi nel contesto di assemblee rappresentative gli interessi del territorio di appartenenza non poteva essere interpretata da tutti con la medesima lungimiranza. La libertà è purtroppo un bene di cui sovente alcuni non si dimostrarono all’altezza. Nel Friuli come altrove.
riprenderò il suo commento e ne farò nota a parte, grazie