ANNIBALE e la scelta dei Venetkens
di Giorgio Burin.
Siamo ad Altino o, più probabilmente a Oderzo, il luogo non è certo, certa è la data del dialogo che riportiamo, incerto nelle parole ma certo nella sostanza. E’ la tarda estate del 217 aC. Sono convenuti i capi delle città venete per ricevere la ambasceria di un alto delegato romano.
Esordisce Valios, il più anziano, in questi termini :
“Sono molte, molte generazioni che il nostro popolo è confluito in questa terra, a cui abbiamo dato il nome. In questi secoli abbiamo reso questa terra ricca e pacifica, come nella nostra indole. Lavoriamo l’ambra del nord e la commerciamo in tutti i paesi. Alleviamo i migliori cavalli che sono ricercati da tutti ed elogiati fin dai poeti greci. Abbiamo creato empori lontano fin nella Sicilia un paese porta il nostro nome e il nostro commercio. Un nostro popolo vive nelle terre dei latini e con questi si è fuso, portando la nostra lingua nella loro.
Pietre e lapidi dimostrano che abbiamo accolto gente straniera che si trova bene qui e che ha imparato ad essere come noi.
Ai Latini abbiamo dato grande aiuto, meno di duecento anni fa, minacciando le spalle di quel Celta, Brenno, che li aveva invasi e che, per la nostra azione, ha dovuto liberare la città in gran fretta. Sappiamo che i Latini hanno grande dimestichezza con la scrittura e annotano ogni fatto. La nostra amicizia con loro è provata inconfutabilmente dal fatto che mai i latini citano una battaglia o uno screzio tra i nostri popoli.
Siamo pacifici ma non amiamo essere calpestati, ci hanno provato gli spartani, 150 anni fa e hanno avuto una sonante sconfitta. Con i celti la situazione è incerta, né noi Heneti né loro, amiamo scrivere la nostra storia, gli scontri con loro non sono documentati. E’ certo però che non amiamo né gli Insubri che vogliono saper tutto loro né i Tauri, di cui non ci si può fidare al di là della loro cortesia. Dei liguri i nostri sacerdoti dicono che saranno sempre e per sempre nostri nemici, consigliando di diffidare. Nulla di buono può venire ai Veneti a far lega con queste genti. Dei Cenomani i sacerdoti annunciano la futura eterna amicizia“.
Accogliamo ora l’ambasciatore Duplus Betrugus che ci riferirà delle novità di Roma.
“Amici Heneti, vengo in nome della grande amicizia del Popolo romano con il vostro, in nome della comune cultura e origini. Incombe su Roma la grande minaccia di un giovane generale africano, chiamato Annibale.
E’ partito con un poderoso esercito dalla sua base in Hiberia e sta dirigendosi verso le Alpi. Le nostre legioni non riescono a intercettarlo e cercherà di passare nella valle del Po. I Galli cisalpini, gli stessi che avete citato, i Tauri, gli insubri, i Boi sono stati sconfitti dai Romani pochi anni fa e ora sono già ad attenderlo per marciare insieme a lui su Roma e rinnovare la loro minaccia.
Il senato di Roma chiede ai nobili Heneti di allearsi con i Romani e altre popolazioni italiche per sconfiggere questa comune minaccia e garantire lo sviluppo dei nostri popoli in armonia per i prossimi secoli.”
Pochi giorni dopo i Veneti hanno confermato la loro alleanza nella guerra che si preparava. I Cenomani si sono schierati anche loro con Roma contro gli altri Celti.
La guerra è stata lunga e incerta per molti anni. Non si può dire se la partecipazione dei Veneti abbia spostato l’ago a favore dei Romani, che alla fine si sono liberati di Annibale. Non si sa neppure se una eventuale vittoria di Annibale avrebbe veramente e per sempre fermato l’espansione della potenza romana, personalmente credo di no.
Come si sa la vittoria romana ha aperto la strada alla romanizzazione della Gallia cispadana e, progressivamente alla pacifica, consenziente romanizzazione anche delle Venezie, che mai hanno smesso, però, di essere un popolo a sé.
Di questo parleremo in un prossimo articolo.