di Theusk
Tutti conosciamo
Giacomo Casanova se non altro per la spropositata attenzione da parte di un certo tipo di letteratura e della televisione che gli hanno conferito nel tempo quell’aura di personaggio “giustamente ribelle” alle direttive della Serenissima.
Egli viene oggi ammirato oltre ogni ragione e ogni limite ma la sua moderna fama non può certo redimere la memoria di un uomo che non rifuggí da ogni turpe inganno, che profanò e avvilí l’amore, che strisciò come un serpente tra le abbiezioni del delatore e del truffatore, dell’ipocrita, dello sfacciato, ora adulatore, ora calunniatore.
Chi abbia un minimo di cultura storica non può che inorridire leggendo le sue “Memories” dov’egli si compiace di descrivere quel basso ed oscuro lato della vita veneziana che è purtroppo di ogni tempo e di ogni paese.
La Venezia di Giacomo Casanova però non è quella della “sua” storia e persino i suoi contemporanei, che ebbero modo di conoscerlo da vicino, gli si dimostrarono più giustamente severi dei posteri.
Chiuso in prigione, bandito dalla Patria, egli finí la sua vita abbandonato da tutti, nel castello di Dux in Boemia, ospite del conte di Waldstein, del quale era divenuto bibliotecario.
Un altro avventuriero,
Lorenzo da Ponte di Ceneda (oggi Vittorio Veneto), di famiglia ebrea chiamata Conegliano, venne convertito al cristianesimo dal Vescovo di Ceneda del quale assunse nome e cognome. Nel 1773, presi a 24 anni gli ordini sacri, andò a Venezia dove, più che al sacro ministero, serví ai begli occhi e ai capricci di
Angiolina Tiepolo.
Fautore di riforme democratiche, venne accusato, da alcuni veneziani, di tenere in scacco “due onoratte famegie, che per scudo non avevano altro che la reputazione“…”Giacché tal indegno, capace di giuramenti sacrileghi per sedurre le anime più giuste, sedusse una molgie (moglie), che secho la fa conviver lontana da sacramenti, procreando con lei parti nefandi ed inlegitimi“.
Gli esecutori contro la bestemmia iniziarono contro di lui un processo e, sentiti tra il giugno e l’agosto 1779, i testimoni che confermavano le accuse, pronunciarono in contumacia, il 17 dicembre 1779, la sentenza di bando. Egli non partecipò al processo perché già fuggito a Vienna dove divenne poeta dei teatri imperiali ed ebbe l’onore di scrivere i libretti del Don Giovanni e delle Nozze di Figaro per Mozart.
Abbandonata la “molgie” sedotta e gettata la tonaca, egli sposò una donna inglese e alternò con lei viaggi nel nuovo e vecchio mondo dandosi al commercio delle droghe e dei liquori, alle lezioni di lingua italiana e alle spiegazioni della Divina Commedia.
Nelle sue memorie autobiografiche si dipinse onesto, ingenuo e disinteressato, pronto sempre a render bene per il male e narra di fantasiose persecuzioni ch’egli ebbe a soffrire per le sue idee dalla tirannica Repubblica di Venezia.
All’estero, molti credettero al racconto delle sue disgrazie ma la verità è che per i veneti e i veneziani egli fu accusato di adulterio e pubblico concubinaggio dopo regolare processo e, come detto sopra, bandito dal Serenissimo Dominio per 15 anni continui pena la prigione per anni 7.