EMILIA ROSSA? non fu sempre così, all’arrivo di Napoleone infatti…
di Renato Cirelli
FERRARA ROSSA? non fu sempre così, all’arrivo di Napoleone l’intero distretto si rivoltò in nome degli antichi valori rappresentati dalla chiesa e dal suo vescovo. Vi trascrivo la prima parte di un breve saggio riguardante il triennio giacobino, poi anche Ferrara partecipò alle generali insorgenze del 1809.
Le insorgenze ferraresi del 1799 e del 1802-1809
1. Ferrara nel Triennio Giacobino
L’Insorgenza nel Ferrarese si situa nel quadro più vasto della resistenza delle popolazioni italiane alla dominazione francese e giacobina dopo l’invasione del 1796 da parte degli eserciti di Napoleone Bonaparte (1769-1821), che, sconfitte le truppe del Regno di Sardegna e dell’Impero asburgico e occupata la Lombardia, invade anche gli Stati Pontifici, benché neutrali, impadronendosi prima di Bologna e poi, il 22 giugno 1796, della Legazione di Ferrara, senza incontrare resistenza.
La tregua conclusa fra la Santa Sede e Bonaparte il giorno dopo a Bologna sancisce il passaggio di Ferrara sotto il dominio francese che abolisce subito gli statuti locali insediando una municipalità repubblicana. La svolta rivoluzionaria è interpretata, dal ceto dirigente ferrarese, come una riconquista di quell’autonomia locale che era stata sempre più svilita e negata dalla politica accentratrice dei Pontefici riformatori nella seconda metà del 1700, e perciò alcuni esponenti conservatori e aristocratici, in un primo momento, collaborano entrando nella nuova giunta.
Fin da subito, però, cresce il malcontento popolare provocato dalle vessazioni e dalle angherie del nuovo governo repubblicano. I provvedimenti varati dai francesi, infatti, impongono alla città il pagamento di quattro milioni di lire tornesi, la consegna, sotto pena di morte, di tutte le armi, anche da taglio, la spoliazione del Monte di Pietà, comprese le fedi nuziali, delle chiese e dei conventi, l’espulsione di circa settecento ecclesiastici rifugiati dalla Francia, la requisizione dei beni della Chiesa e delle confraternite.
I contraccolpi sono immediati e le ordinanze provocano una forte reazione popolare, specialmente da parte delle donne, e i primi moti di scontento avvengono a Cotignola, a Massalombarda e ad Argenta, presto terminati anche per l’invito alla calma da parte dell’arcivescovo di Ferrara, cardinale Alessandro Mattei (1744-1820). In luglio però esplode gravissima la rivolta a Lugo, capeggiata dal fabbro Francesco Mongardini, che costringe i francesi a intervenire in forze contro gl’insorti, i quali, dopo gl’iniziali successi militari, vengono sconfitti; Lugo è assediata e brutalmente saccheggiata e i capi della rivolta tradotti a Ferrara e giustiziati, fatti che provocano grande turbamento e che contribuiscono a scoraggiare altri tentativi di rivolta.
Ciononostante in agosto il cardinale Mattei, approfittando dell’assenza temporanea della guarnigione francese, cerca di ristabilire l’autorità pontificia, ma l’impresa, peraltro velleitaria, fallisce subito, lasciando l’alto prelato ad affrontare da solo l’ira di Bonaparte che lo costringe a un temporaneo esilio. Nel dicembre del 1796 Ferrara entra a far parte della Repubblica Cispadana, e si svolge la consultazione elettorale per l’approvazione della costituzione e l’elezione dei deputati al Congresso di Reggio Emilia, ma in 112 parrocchie — che fungono da collegi elettorali — su 185 i ferraresi rifiutano di votare e nelle restanti votano solo 2825 su 8823 aventi diritto e, di questi, 1658, la maggioranza, sono contrari alla repubblica.
Nei quartieri cittadini solo uno, oltre al ghetto, si esprime favorevolmente. La collaborazione della comunità ebraica con i francesi provoca molto risentimento nei ferraresi, che vedono gli esponenti israeliti partecipare alla giunta municipale e fra questi Abramo Bianchini, noto per il fanatismo giacobino, diventa addirittura comandante della Guardia Nazionale, mentre altri acquistano terre e ori requisiti alle chiese e ai conventi.
Alcuni, ancora, disturbano cerimonie religiose provocando disordini. Dinanzi al mutamento rivoluzionario si manifesta subito una massiccia opposizione. La presenza di una numerosa guarnigione francese impedisce però un immediato sfogo violento alla ribellione latente. La nobiltà ferrarese adotta un atteggiamento di sprezzante distacco dalla vita politica, mentre la città si chiude in un silenzioso dissenso, che si esprime nella renitenza alla leva e nell’evasione fiscale.
Nelle campagne, invece, la sorda e insofferente ostilità è spesso incoraggiata dall’ostruzionismo del clero locale. L’atteggiamento diffuso di resistenza passiva e di apatica dissidenza si afferma come la principale peculiarità della popolazione ferrarese di fronte alla nuova realtà, ed è destinata a durare nel tempo, anche quando non trova la forza di esprimersi in ribellione aperta; è significativo comunque il fatto che, al contrario di quanto avviene in altre province, a Ferrara non emerge un ceto dirigente dalle solide convinzioni repubblicane.
Nel giugno del 1797, per decisione di Bonaparte, a Milano viene proclamata la Repubblica Cisalpina, della quale Ferrara entra a far parte con il nome di Dipartimento del Basso Po e viene imposto a tutti i funzionari un giuramento di fedeltà. Il cardinale Mattei invita a non giurare e viene pertanto espulso dal territorio della Cisalpina e inviato in esilio.
La coraggiosa presa di posizione dell’arcivescovo, che giudica la Rivoluzione come movimento profondamente anticristiano, porta alle dimissioni dell’intero economato del Comune e di trentacinque funzionari pubblici, mettendo in crisi l’amministrazione. Da ultimo la Repubblica decide che Ferrara deve fornire cinquecento uomini per le truppe cisalpine, falcidiate dalle diserzioni, e questo in un momento in cui aumentano i contrasti fra la popolazione e il governo provocati dall’inasprimento fiscale e dalla questione degli alloggi da fornire alle truppe.
Nel dicembre del 1797 scoppiano moti a Massafiscaglia e a Lagosanto, presto domati, e nel luglio del 1798, davanti a una folla, commossa viene fucilato a Ferrara, in un clima di terrore, l’anziano parroco di Varignano, don Pietro Zanarini, reo di aver abbattuto un albero della libertà.