I Bresciani alla guerra di Cipro
di Gualtiero Scapini Flangini.
Nel marzo 1570 tutti i domini veneti furono percorsi dall’allarme per i preparativi di guerra degli Ottomani e, prima ancora che fosse definitivamente stipulata l’alleanza con lo Sato Pontificio e la Spagna caldeggiata da papa Pio V, il Senato Veneto respinse tutti i suggerimenti di restare in prudente attesa e ruppe i contatti col Turco, proclamando lo stato di guerra.
Fu mobilitata l’Armada da mar al comando di Gerolamo Zane, furono rinforzate le difese della laguna e furono rivolti pressanti appelli alle città del Dominio di terra per ottenerne l’aiuto finanziario e in uomini. Tutta la società del tempo si mobilitò in una sorta di tumultuoso disordine, con il fiero proposito di combattere e di resistere davanti a una così pesante minaccia, che prometteva di annientare la Patria.
L’appello della Serenissima Signoria non cadde nel vuoto, a dimostrazione dell’attaccamento dei sudditi, saldamente attaccati a San Marco e alla profonda tradizione religiosa. I cuori dei giovani bresciani s’infiammarono per quella Crociata contro gli Infedeli, un’impresa che prometteva universale risonanza, gloria e avventura, onori e guadagni per tutti.
All’appello delle autorità cittadine: il Podestà Antonio Bragadin, il Capitano Daniele Foscarini e il Vescovo Domenico Bollani, il 10 marzo i membri del Consiglio Generale cittadino offrirono con voto quasi unanime un intero corpo di fanteria, mille uomini, ottimamente equipaggiati e spesati per sei mesi. Gli ufficiali furono scelti a sorte fra la nobiltà bresciana.
Un’offerta particolarmente generosa se si considera che le finanze del Comune erano esauste, dato lo sforzo economico richiesto dalla fabbrica del Palazzo Pubblico, oggi conosciuto come la Loggia, che si protraeva da anni.
Il territorio inoltre scontava ancora una severa carestia per fronteggiare la quale si erano accesi ingenti prestiti e persino la vendita di molti beni pubblici. L’offerta della Leonessa, Brixia Fidelis fu la prima e la più generosa, e commosse grandemente il Senato, ma non evitò che in seguito, a causa delle enormi spese di guerra, anche Brescia fosse sfruttata duramente, peraltro allo stesso modo delle altre città di terra ferma, dallo stato.
Il 16 marzo, anche Salò e la sua Riviera offrirono cento fanti, completamente spesati per tutta la durata della guerra. La Valle Camonica offrì 5.000 pesi di ferro crudo per l’Arsenale, oltre a uomini e cose non definite. La Val Sabbia mise a disposizione denari, armi, ferro e paghe per i soldati. Dalla pianura bresciana affluirono a centinaia i giovani, arruolati nel Reggimento Bresciano.
Fu una gara anche tra i nobili e i magistrati. Il Bragadin offrì 2000 ducati, 1129 il Vescovo Bollani, 2000 il dottor Onofrio Maggi: il conte Lucrezio Gambara diede 40 fanti, 28 il conte Niccolò Gambara, 200 i Porcellaga, 30 il conte Antonio Martinengo di Villagana. I Due Gambara, Niccolò e Lucrezio, fieri e turbolenti feudatari di Verola Alghise, avevano commosso l’intera città per il rapimento della quattordicenne Teodora Maggi, strappata nell’anno precedente dalla casa degli zii materni Brunelli, ma ottennero il perdono della Signoria accorrendo in sua difesa contro il Turco, nella qual guerra Niccolò particolarmente si distinse. Orzinuovi da sola diede cento soldati guidati da Ludovico Ugoni e Francesco Lanzetti. Si arruolarono il cavaliere di Malta Antonio Averoldi e i suoi tre figli, tre Franzoni; e poi Girolamo Martinengo, che cadde poi alla difesa di Famagosta; il conte Pietro Avogadro Ferrazzi, il conte Francesco Martinengo Colleoni, Giovan Battista Rodengo, Niccolò Schilini, Ciro Secco, Scipione Porcellaga che cadde in Oriente, e moltissimi altri.
In poco più di un mese i volontari furono arruolati, armati e istruiti, e infine inviati a Venezia. Si elessero gli ufficiali, organizzati i servizi e tutte le numerose incombenze del caso. Come da tradizione bresciana, tutto fu completato nei tempi stabiliti. Contemporaneamente le officine e le fonderie della città e della Val Trompia furono sottoposte a sforzi notevoli per far fronte alle forniture di guerra, sia pubbliche sia private; i 24 forni e le 200 fucine delle valli fornivano incessantemente il materiale necessario alle fabbriche di armi, nonostante la carenza di carbone di legna. A Gardone si giunse a fabbricare ben 300 canne d’archibugio al giorno, che poi venivano montate sulle casse che si producevano a Brescia. Non ci furono soste, né festività. Il lavoro procedeva sia di giorno sia di notte ininterrottamente.
Il 30 marzo l’adunanza cittadina elesse il nobile Carlo Ducco a colonnello dei mille fanti e il giorno successivo si nominarono i capitani: Camillo Brunelli, Ortensio Palazzi, Ludovico Ugoni, Mario Provaglio, Francesco Marzoli tesoriere e Gerolamo Luzzago di Verzerio cancelliere. Seguì una solenne cerimonia in Cattedrale alla presenza del vescovo Bollani, con la solenne benedizione dell’impresa e del reggimento.
da : La Lombardia Veneta di Gualtiero Scapini