I VENETI, PROFUGHI DELLA GRANDE GUERRA, IL LADROCINIO SUGLI AIUTI
ITALIA IMMUTABILE NEI SUOI VIZI DAL 1861. niente di nuovo sotto il sole…questo accadeva 90 anni fa.
Bruno Pederoda, Tra macerie e miserie di una regione dimenticata. Ed. Piazza
(Tra disordini sociali e corruzione) pagg. 197-198
Si vuol dire che gli italiani sono generosi, ma sottoposta al vaglio l’affermazione va sostenuta con molte cautele. Accanto ai magnanimi, presenti in ogni categoria sociale,…ci sono infatti i magniloquenti: prodighi soprattutto di promesse, che hanno bisogno di folla di testimoni per allentare i cordoni della borsa che il più delle volte risulta quella pubblica; e ci sono infine i magnaccia, , numerosi e solerti, che servono la pubblica e la privata munificenza, ripagandosi abbondantemente del servizio reso. Questi ultimi popolano come formichieri il sottobosco fittissimo della politica, l’unico che in Italia non corre mai il pericolo di andare a fuoco. Seguendo la scia del giornale “La Riscossa”, anche qualche magistrato cominciò a muoversi. I riscontri non mancarono. Mani disoneste si erano allungate persino sugli effetti personali. “Migliaia e migliaia di camicie, mutande, lenzuola, ecc. ecc. andarono ad ingrassare – quasi esclusivamente – chi non ne aveva affatto bisogno. La gente povera, onesta, timida…non ne ebbe che spinte alla schiena…gomiti nel petto da parte degli amministratori di tutta quella cuccagna” (La Riscossa, 4 sett. 1920).
La rapina era cominciata assai per tempo, come si deduce da quanto riportò nel diario nel suo vernacolo un ragazzo di Possagno profugo in Sicilia, che scrive:
“Ma ciò, se à da pensar che ghere el fato che el Governo a tuti sti comitati el ghe dea dei bei schei, roba, scarpe, zhucaro, de modo che sto arte (questa attività) el poea essar ancha un bel miscier de interessi e de imbroi…Parché roba a gh’era rivada ben, altroché. Stanghe piene de scarpe, abiti, roba da magnar, roba mandaa dal Governo. Ma ja zhent ja gh’in vedea poca. E sto fato, ciò, me stomeghea proprio. Na olta a ghe ea dimandà chelcossa par me mama che la ea i atachi de cojiche e no i me à dat gnent”. Monsignor Longhin, vescovo vento, scrisse in proposito: “A fianco di tante opere che onorano l’umanità, quante brutture di basso e sfacciatissimo interesse!. Quanti approfittarono di queste dolorose circostanze per guadagni colossali! Quanti hanno sfruttato la miseria del povero, hanno insultato i suoi dolori, hanno chiuso le orecchie ai suoi gemiti e contro di lui, terrorizzato ed impotente a difendersi, hanno commesso angherie, soprusi, odiosi ricatti, lasciandolo spogliato e nudo, persino tremante, sotto la minaccia di castighi e di pene!”. (Bollettino ecclesiastico di Treviso 1918, nr. 2).
Ordinaria amministrazione nel Bel Paese. “Noi italiani siamo abituati a considerare lo stato come “res nullius”. Come un ente da sfruttare, da imbrogliare, da dilapidare, da rovinare. Lo stato per noi italiani non è la nazione”. (La Riscossa, 26 mar 1920, nr. 8)
Bruno Pederoda