Il veneto…in Messico
Nel 1881 nel trevigiano il fiume Piave straripò sommergendo e devastando un piccolo paesino di nome Segusino; in quello stesso periodo, il governo messicano favoriva la colonizzazione del Paese, privilegiando gli emigranti provenienti dall’area mediterranea. I piani prevedevano l’insediamento di 200 mila coloni italiani (anche se in realtà ne arrivarono molti meno)
Fu così che il 7 ottobre 1882, trentotto famiglie di Segusino firmarono un contratto con il governo messicano e lasciarono per sempre la loro terra violata dall’impeto del Piave.
Ma al loro arrivo dall’altra parte dell’oceano, non trovarono quell’America che tutti avevano decantato loro. Il terreno affidato ai segusinesi era di 600 ettari in tutto. Qui fondarono Chipilo, nella valle di Puebla.All’epoca c’era un solo edificio: una vecchia hacienda abbandonata chiamata Hacienda Quitacalzones. La zona era tristemente nota per i briganti che assalivano i viaggiatori.
I segusinesi non si dettero per vinti e, forti della tenacia che ha sempre caratterizzato le genti venete, si adattarono a vivere tutti insieme per i primi tempi, almeno finché ogni famiglia non riuscì a costruire una casa per sé.
Formarono una comunità così ristretta che, così come successe nel Rio Grande do Sul, gli permise di conservare la propria lingua nei secoli.
“Nella località Chipilo de Francisco Javier Mina tutti parlano in maniera strana. Lì, la zuppa viene chiamata «menestra» ed i fagioli sono i «fasui». Quando gli abitanti del luogo si accomiatano, non si dicono arrivederci: dicono «se vedon».
Nascosta nel centro del Messico ed insediata in terra azteca, questa comunità di meno di 5.000 abitanti non parla né castigliano né náhuatl: la loro lingua è un dialetto del nord-est d’Italia, del Veneto, tramandato dagli immigrati che attraversarono l’Atlantico negli ultimi anni del secolo XIX.
Mentre il dialetto in Italia continuò la sua evoluzione, la lingua di Chipilo rimase invariata nel tempo. «Quando incontriamo un veneto, ci dice che parliamo come i suoi nonni» – racconta Javier Galeazzi Berra, proprietario di un ristorante all’ingresso del paesino. «E c’è gente che ci deride perché dice che non è italiano. A noi non importa se non lo è, in quanto resta pur sempre la nostra lingua!» – esclama deciso, prima di farsi una grossa risata.
In questo piccolo borgo, a soli 15 chilometri dal capoluogo Puebla, sembra che gli anni non siano passati (..)
liberamente tratto da http://italiadallestero.info/archives/20357)